Modulo 26 – Esercizio #8
In questa strada del centro l’autobus è un forno incastrato nell’ingorgo che quotidianamente si propone, come una matassa di lana ingarbugliata che la tessitrice deve districare.
Le automobili sembrano impazzite, incapaci di proseguire nonostante la presenza dei vigili.
E’ quasi l’una, i nostri corpi ammucchiati nell’autobus sono ormai cotti, il ragazzo grasso e peloso li condisce col suo sudore. L’omino che guida dev’essere di plastica, perché non dà segni d’impazienza, non suona il clacson come fanno gli altri automobilisti.
Sono incollato al culo di una donna e quel culo mi fa godere, non riesco a distinguere il viso della donna, però il suo respiro somiglia al mio: Lei strofina il suo culo al mio sesso, duro come un ramo che prenderà fuoco.
Il desiderio ha infranto ogni pudore ogni paura, i gesti si fanno sempre più audaci con una mano le tocco i fianchi e con l’altra cerco e stringo la sua mano. La bocca sfiora e bacia il collo.
Non me ne frega niente delle occhiate indignate di chi ha capito. Sono convinto che quelle occhiate nascondono invidia, voglia di accoppiarsi. Infatti altri corpi si cercano e si toccano per provare lo stesso piacere.
Qualcuno prova a staccarmi da lei, ma non ci riesce, sono saldamente, tenacemente incollato al suo culo
Adesso non m’importa se l’autobus non prosegue, anzi sono contento che ci sia l’ingorgo.
“Mi stava rubando la borsetta, lei è un ladro, signori quest’uomo è un ladro”,
la voce di una vecchina piagnucolosa ronza nei nostri orecchi come una mosca.
“Il caldo ha storpiato il suo cervello, come si permette di darmi del ladro”.
Alle accuse della vecchia ribatte un tipaccio dall’aspetto losco. Lei per niente intimorita conferma l’accusa. Il tipaccio si allontana non prima di aver borbottato qualcosa di poco gradevole.
Nessuno ha voglia di ficcarsi in una storia che potrebbe causare noie, soprattutto in momenti così particolari.
Questa volta la vecchia si lagna per l’indifferenza dei passeggeri.
L’autobus sta procedendo lentamente. Non riesco più a staccarmi da quella donna. È come se il mondo non avesse niente di meglio da offrirmi, infatti non riesco ad immaginare qualcosa di più piacevole.
Vorrei parlarle, guardarla negli occhi, ascoltare la sua voce, conoscere brandelli di vita, ma di lei non scorgo che un vago profilo, però il cuore. Dio come batte il suo cuore!
Altri corpi altri respiri sono simili ai nostri. Chi è solo, esprime disappunto per il traffico ma c’è un tipo che mi ficca addosso occhi rapaci e con la bocca fa smorfie a dir poco schifose. Ho la sensazione che vorrebbe prendere il posto della donna a cui sono incollato. Offrirmi il suo culo.
Dovrei schiaffeggiarlo, prenderlo a pedate ma per farlo sarei costretto a staccarmi da lei e ciò è assurdo.
L’autobus ha ripreso a correre, corre verso una meta a cui non aspiro più, anche perché ho dimenticato il posto dove sono diretto.
Adesso nell’autobus c’è caos, le coppie sono costrette a separarsi ma vengono rimpiazzate da altre.
C’è un tipo che attendeva paziente e nel momento in cui la donna resta sola si catapulta addosso a lei ma per farlo dà uno spintone a un altro contendente che tentava di soffiargliela.
Io e lei resistiamo tenacemente caparbiamente proprio come due naufraghi, i passeggeri come onde marine ci travolgono, ci sballottano da un punto all’altro dell’autobus. ma la separazione è inevitabile, anche perché l’autobus si và svuotando adesso che procede veloce in periferia.
Odo il respiro di lei che esprime dolore, lei ode il mio. Davanti alla fermata, un uomo, sarà suo marito, la esorta a scendere e così ci separiamo e per me non ha più senso restare in autobus, scendo anch’io e mi ritrovo da solo sulla strada sotto un sole cocente senza sapere dove andare e cosa fare.
Osserva però la quantità di dettagli concreti: “la puzza di sudore” (anche se la qualificazione “insopportabile” andrebbe resa nel modo corretto: mostrando il disagio delle persone); “un ragazzo grasso e peloso” (e non sarebbe male aggiungere qualche dettaglio in più, che il protagonista possa realisticamente notare); e poi “l’ingorgo”, “i vigili”, “i corpi ammucchiati”, “le occhiate indignate di chi ha capito”, “un tipo che mi ficca addosso occhi rapaci e con la bocca fa smorfie a dir poco schifose”; tutte cose che – complessivamente – restituiscono bene il senso di luogo.
Anche l’uso delle figure retoriche – “sembra una fontana e ansima come se stesse per scoppiare”, “una matassa di lana ingarbugliata”, “come un ramo che prenderà fuoco”, “l’omino che guida dev’essere di plastica”, “ronza nei nostri orecchi come una mosca”, “come onde marine ci travolgono” – è coerente con le percezioni psicologiche che il protagonista può realisticamente avere nella situazione in cui si trova.
I singoli ingredienti ci sono tutti, per concepire una buona scena – come possono esserci solo quando si sa bene di cosa si sta scrivendo – ma loro gestione non è ottimizzata (sicuramente non lo è l’ordine di presentazione delle informazioni) e comunque è inquinata da molteplici errori tecnici (avverbi modali, verbi percettivi, intromissioni dell’autore, discorsi indiretti, ingenuità stilistiche).
Magari non tutti avranno vissuto un’esperienza simile – trovarsi incollati al culo di una donna consenziente, in un autobus affollato, in un giorno di gran caldo e traffico – e quindi non tutti ne possono scrivere; ma forse è sufficiente modificare un minimo la premessa – trovarsi incollati al culo di una donna consenziente, senza altre precisazioni – per ritrovare una situazione che magari più d’uno ha sperimentato (a una festa di capodanno, in una notte sulla spiaggia intorno a un falò o vedi tu che altro).
Buon lavoro!
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