Modulo 21B – “E allora Stephen King?”: scimmiette e cattivi maestri

 
Per quanta malafede si possa avere, per quanto ci si voglia amminchiare per tenere il punto, basta poco per persuadere che Manzoni&Co. li leggiamo non già grazie allo scrittura, ma nonostante il loro stile. Così come – senza offesa – mangiamo da McDonald non grazie alla qualità del cibo, ma nonostante il cibo.

Ma lo stesso argomento si rigenera di continuo, e sembra acquistare tanta più forza quanto più viene traslato in avanti nel tempo. 

E allora Stephen King? Anche la sua scrittura non va bene? Ma va là! A chi vuoi darla a intendere? Le sue storie sono fantastiche! E poi, scusa, tutte quelle copie vendute non possono essere un caso, vogliono dire che la scrittura è buona e può esser presa come modello di riferimento…

E allora Stephen King? è la mutazione del virus originario e allora Manzoni?, più aggressiva e resistente, come tutte le mutazioni, che a sua volta ne genera altre sempre più problematiche: E allora Baricco? E allora…

Non c’è che da somministrare una seconda dose di vaccino, e poi una terza e una quarta, tutte accomunate dallo stesso principio attivo: per noi, qui, esiste solo il testo, per noi hanno valore soltanto le parole sulla pagina, e le giudichiamo in base a uno standard dichiarato; qui non siamo fan(atici) di nessuno, non sosteniamo un autore con la foga dell’ultrà verso la sua squadra di calcio; ancor meno ci interessano le copie vendute, perché un gran bel libro, molto ben scritto, potrà pure vendere milioni di copie, ma non vale la reciproca, e vendere milioni di copie non è garanzia di qualità della scrittura; qui parliamo poi di scrittura, non di sceneggiatura, e una storia meravigliosa – di nuovo – non assicura di per sé la qualità della scrittura con cui prende forma (perché la storia si giudica con i paradigmi della sceneggiatura, laddove la scrittura si giudica con i paradigmi del mattoncino e del flusso narrativo).

Se non condividi le premesse – se pensi che lo stile ottocentesco sia ancora d’attualità, se non distingui tra scrittura e sceneggiatura perché ingurgiti tutto in un sol boccone, se la tua copia di Miseri non deve morire autografata da King la veneri come una reliquia, se pensi sia inutile parlare di tecnica e stile perché tanto le vendite purificano tutto – se questo è il tuo punto di vista, grazie per aver partecipato al mio blog, e tanta buona fortuna, di cuore.

Se invece ti ritrovi in almeno di alcune delle premesse, allora sarà il caso di dare un giro di vite.



Partiamo malissimo, ancor prima di aver letto il testo. Cosa vuol dire “genio indiscusso”? Questo modo di esprimersi è deleterio per l’apprendimento.
 
A ogni testo – chiunque sia l’autore – ci si rapporta con una mente disposta a controllare e a contraddire, perciò nessuno è al riparo dell’essere discusso. L’equità del giudizio è in un set di regole che lo immunizzano dai propri gusti, ma anche nella consapevolezza che non si può usare il metro di ora per misurare la qualità di ciò che fu creato allora.

Non cloroformizzare ogni cosa con l’acido del “genio indiscusso”, o finirai con lo scrivere testi così, che rimangono scadenti per quanto ti possa sforzare di consegnarli una nobile ascendenza. 
 
La ragazza, il cui piede sinistro ciondolava avanti e indietro in un ritmo sincronizzato con i suoi pensieri, era immersa nella lettura di una raccolta di racconti del signor H.P. Lovecraft, quando ad un certo punto capì che qualcuno avrebbe bussato alla porta della sua piccola casa in Neibolt Street.

Marta, questo il suo nome, non fece altro che controllare il pentolone in cui bollivano pietanze alquanto normali all’apparenza ma che a ben vedere risultavano bizzarre, dopodiché agitò le braccia in alto, sopra la sua testa, come volesse danzare e sorrise guardando il muro di fronte a sé, proprio laddove vi era disegnato un acchiappasogni di media grandezza e scarlatto.

Era il suo portafortuna.

Finalmente qualcuno bussò per davvero alla sua porta e la ragazza si sistemò per bene il vestito, rassettandolo e sospirando dolcemente.

Era molto bella, ma la vita l’aveva segnata fin dalla sua tenera età, infatti era totalmente sola e nessuno desiderava la sua compagnia, nemmeno i suoi famigliari, che la tenevano ben distante poiché secondo loro lei era un errore, una megera, una strega che si nascondeva sotto mentite spoglie e quindi i bambini e così le mamme evitavano di camminare sotto la casa di Neibolt Street poiché erano convinti che il luogo portasse sfortuna.

- Arrivo, solo un minuto.

Dopo aver parlato, Marta aprì la porta e da subito apparve un uomo elegante, vestito di nero, che le consegnò un mazzo di fiori di un rosso talmente acceso che l'acchiappasogni in confronto risultava invisibile.

Lui appoggiò la mano sul bastone con la testa da leone cromata in argento, dopodiché entrò senza indugio.

Lui non aveva paura di lei anzi ne era affascinato e riteneva che Marta avesse il dono della preveggenza e per questo motivo aveva deciso di bussare alla sua porta.

Marta non pensò minimamente al pericolo che sarebbe potuto insorgere nel rimanere sola con un uomo che in pratica non conosceva, bensì gli disse di accomodarsi sul divano, lei sarebbe arrivata subito con due tazze di thè al limone, ma prima si sarebbe dovuta occupare ancora del pranzo che stava preparando con cura, avrebbe dovuto utilizzare di nuovo il grande mestolo per controllare la brodaglia dal colore verde che ribolliva più calda che mai.

Il signore, che non si era tolto il cappotto, era di un'eleganza finissima e portava nel dito mignolo un anello intarsiato con una perla rossa, un rubino molto acceso e davvero costoso.

Marta fu ipnotizzata da quell’accessorio e lo fissò come potrebbe fare una gazza ladra nel vedere qualcosa di splendente da portar via.

- Ogni cosa, mia cara, ha un prezzo.

La voce spigliata e sicura dell’uomo la fecero rabbrividire e tentennare. Non aveva mai sentito una sonorità così leziosa e suadente prima, non le era mai capitato di deglutire in quel modo a causa della paura, così come non le era mai successo di vedere abbattere in sé e nel suo inconscio la sfera sovrannaturale ed emotiva delle preveggenza, era scioccata perché era la prima volta che le capitava.

- Mi scusi?

- Ripeto
… ogni cosa ha un prezzo.

Che cosa significava?

Si allontanò per andare in cucina, e dopodiché arrivò trafelata e alquanto nervosa, con entrambe le tazzine del thè strette in un vassoio dipinto a mano, con delle roselline davvero delicate piuttosto fuorvianti in quel contesto macabro, e mostrò di essere serena.

L’uomo non sorrise affatto, e declinò l’invito del thè, quindi Marta appoggiò la tazzina sul tavolino in cristallo e sorseggiò velocemente in totale silenzio, mentre le gambe le tremavano e se fosse stata in piedi molto probabilmente sarebbe caduta o svenuta.

- Lei ha paura, avverto il suo odore fin qua. Sa qual è il vero profumo di quella stessa paura? Non ne conosce l’essenza vera, lei, purtroppo. Tutti la additano come una strega, ma lei non lo è, si è convinta di esserlo ma lei è molto di più, lei è…

- Che cosa? Che cosa sono io??

Le sue guance divennero rubizze e gli occhi lucidi, non poteva aspettare, era curiosa come una bambina e il cuore le martellò nel petto come se stesse morendo d’emozione.

- Ebbene, ora devo proprio andare, lei ha un dono che io però posso distruggere come se lei mi appartenesse, sa? Le lascio il mio biglietto da visita. Sono giunto da Castle Rock solo per incontrarla e perché nei miei sogni lei era così
 così bella e anche innocente.

Quasi la sfiorò con lo sguardo e lei si sentì nuda e impaurita.

L’uomo sorrise e le lasciò un bigliettino ingiallito, corroso dal tempo. Marta intercettò da subito il pensiero della brodaglia che stava preparando per pranzo ma lui, come per osmosi, scosse la testa con delicata energia e proiettò nella mente della ragazza il pentolone completamente vuoto.

Come aveva fatto? Nessuno era mai riuscito a controllare il suo dono o depistarne la traiettoria così evidente. Mai.

La ragazza deglutì ancora e si sentì incredibilmente vulnerabile e fragile.

- Ah la paura, ciò di cui mi nutro sempre e ciò che mi fa restare
 giovane!

Rise e i suoi denti argentati e leggermente aguzzi assomigliarono a quelli di un pesce pericoloso, un piranha per l'esattezza.

- Ho delle cose da fare in casa, devo sbrigare delle faccende molto importanti e poi stavo finendo di leggere una storia, sono molto impegnata perciò è meglio se lei ora…

Si toccò il braccio che iniziò a pruderle per il fastidio dell'estraneo e perché il suo dono le mancava, non lo sentiva più presente. Ogni volta che leggeva una qualsivoglia storia o cantava, era come se quel dono che era la sua condanna o la sua benedizione, diventasse più vorace e si intensificasse, ma quando era esausta o nervosa oppure sotto pressione e ansiosa allora era molto più fragile spenta. Questo non le piaceva, nient’affatto.

La sua anima stanca risultò debole come l’ala fragile di un fringuello.

- Tra tre giorni sarò qui, di nuovo, di ritorno da lei, Marta. Non mi deluda, va bene? D'altronde ne va della sua
 anima.

Scioccata e con il viso rivolto verso l’acchiappasogni che ora brillava di un rosso ancora più intenso ma anche in modo assurdo, perlaceo, rispose senza muovere le labbra, come in stato di shock, molto debolmente.

- Bene, lei è una brava ragazza.

Quando l’uomo raggiunse la porta d’ingresso per andare via, solo allora Marta si rese conto di un particolare molto strano: nel bastone che lo teneva in piedi a causa del suo incedere piuttosto claudicante, vi erano incise le lettere H.P.L.


Imitare qualcuno – fosse pure Stephen King – senza capire cosa, come e perché certe cose per lui hanno funzionato, e soprattutto in quale contesto si sono realizzate, significa possedere una mentalità che inibirà qualsiasi creazione interessante.

Stephen King può affidarsi a una cosa che tu non hai: un vasto pubblico di lettori caldi, costruito in un’epoca in cui il prodotto-libro godeva di un suo monopolio e non vi erano altre possibilità di scrittura all’infuori dello stile “classico”.
 
E tutto il resto conta in effetti molto poco, quasi nulla, quando ci si è costruiti la propria roccaforte di lettori caldi. Perché un lettore caldo è un tifoso, un ultrà, un individuo con una capacità critica prossima a zero, e un bassissimo livello di reversibilità delle proprie idee, per quanti schiaffi possa prendere dalla dura realtà sotto i suoi occhi: “thirty years of hurt, never stoppped me dreaming”, cantavano i Lighting Seeds al campionato di calcio europeo del 1996, ma la Curva Sud romanista li aveva anticipati di oltre dieci anni con il suo “ovunque ti seguirem, ovunque ti sosterrem… che sarà, sarà!”, e gli stessi cori li intonano ora per Stephen King tutti i suoi lettori caldi.
 
Che gran bella cosa i lettore caldi!
 
Peccato solo che tu (ancora) non li hai, e che se vuoi crearteli (oggi, anno 2023) l’esempio di King ti è di scarsissimo aiuto.


Per quale ragione questo libro – un libro che inizia così –  ha venduto, vende e venderà? Sicuramente non per come è scritto.

Hai tutti gli strumenti – arrivato qui – per rilevare la quantità impressionante di errori presenti in poco più di mezza pagina. Come li avrà notati di sicuro anche l’editor dei King, padre e figlio.

Ma sono i King, accidenti! Cosa gli vuoi dire?
 
“Ehi, Stephen, la costata di manzo di ieri sera vi si deve essere bloccata nello stomaco, forse per colpa del vino ghiacciato con cui l’avete accompagnata. Perché, sai, il discorso indiretto ha fatto il suo tempo come il jukebox; e i vostri infodump sui personaggi sono una roba che ammazzerebbe un toro”.
 
Avresti il coraggio di dirlo a Stephen King e a suo figlio, protetto sotto l’ala del padre?

Non ho letto la storia, e quindi non la posso giudicare, ma la mostruosa quantità di riferimenti extra-testuali sono un segnale allarmante.
 

Io non ho letto la storia, ma al momento ci sono 657 recensioni su Amazon, con una media di 3,9 stelle su 5. 
 
  
Iniziamo pure con le cinque stelle.
 

Le prime due fanno arrossire di vergogna.

La prima è intitolata “Sempre il Re”, che è un giudizio stereotipato sull’autore, non sul libro (tutto molto coerente, d’altra parte: si fa il tifo per la squadra di calcio, fosse pure la squadra primavera, e non per i singoli giocatori pro-tempore). La storia è “fantastica” (ma non si sa perché) seppur “con qualche momento di stallo” (sul serio?) ma rimane “ugualmente avvincente” (ma non si sa perché).

La seconda, se possibile, è ancora peggio: “interessante”. Cavolo! Ora sì che mi precipiterò ad acquistare il libro.
 
La terza recensione ci restituisce le informazioni più significative, per capire cos’è che il più delle volte muove il giudizio.

Veniamo a sapere che King “è un genio” e “io amo tantissimo questo genere letterario”. Già, ma a me non interessa King, e men che meno mi importa dei tuoi gusti: io leggo le recensioni per avere informazioni sul libro.
 
E le informazioni dicono una cosa e la sua opposta: “scorrevole nella lettura però non facile da comprendere”, roba che la sibilla, col suo ibis redibis non morieris in bello, può mettersi di lato e impara come si fa.
 
La lettrice consiglia quindi di “rileggere le prime cinquanta pagine un paio di volte”.

Rileggere un paio di volte le prime cinquanta pagine? Ma sei seria? Io non sono un ultrà di King, e se mi dici che devo rileggere un paio di volte le prime cinquanta pagine, allora non le leggo nemmeno una volta, altroché. Perché già non ho cuore, anima e tempo per leggere più volte le prime cinque pagine, figurati le prime cinquanta.
 
E poi vorrei capire come si fa a dire – a stretta logica – che il libro “è stato costruito in maniera eccellente”, se le prime cinquanta pagine – le prime cinquanta, per l’amor del cielo: non le prime cinque, le prime cinquanta! – devono essere rilette “ un paio di volte”.

La parte conclusiva della recensione ha il merito di chiarire tutto: “questa storia vuole parlare delle donne rendendole speciali e protagoniste del mondo, un po' magiche rispetto agli uomini”. Ah, ecco! Questa storia dice che le donne sono più fighe degli uomini, io sono una donna, e quindi – che bello, che bello! – io sono figa. Ora tutto chiaro. E meno male che bisognerebbe leggere per diventare qualcun altro, per vivere un’altra vita, per non essere più sé stessi.
 
Questi lettori entusiasti – come tutti gli altri, e leggi pure le loro recensioni, se non mi credi – stanno manifestando il loro amore incondizionato per Stephen King, il che è una cosa bellissima, senza dubbio, che però a te non serve, perché tu – breaking news! – non sei Stephen King, non sei nemmeno suo figlio, e nessuno avrà mai voglia di rileggere più volte le tue prime cinquanta pagine, solo perché ti sei ispirato ai King.


Di quando in quando – non molto spesso, però succede – la massa di lettori caldi conosce qualche defezione, che non ne altera certo la consistenza, non ne modifica gli ordini di grandezza, ma dovrebbe farti riflettere nella prospettiva di costruiti una tua mentalità.

Questo lettore parla di “una miriade di personaggi non ottimamente caratterizzati”, che gli ha imposto di “consultare spesso lo specchietto ad inizio del volume”, con la conseguenza devastante di spezzare “il ritmo della lettura”.
 
Era prevedibile, perché i riferimenti extra-testuali sono un segnale di incapacità piuttosto attendibile: l’autore non sa fare le cose nel testo – dentro il testo, nel flusso naturale della storia – e pensa di cavarsi di impaccio facendole fuori.

Ci sono poi degli errori, “alcuni classificabili come sviste” e “altri come espedienti narrativi da principianti” (pesante, eh?).

Arriva infine un giudizio che è una condanna senza appello: “si stenta ad affezionarsi ai personaggi e a provare empatia per le proprie vicende”.
 
Game over. L’empatia è il presupposto di ogni storia, va costruita sin dalle prime righe e tenuta viva lungo l’intero arco della storia. Ci si arriva a intuito, d’altra parte: se non riesco a capire perché i personaggi fanno quel che fanno, dicono quel che dicono e pensano quel che pensano, perché mai dovrei interessarmi alla storia?
 

Esatto: perché King è King, il Re, e gli dèi tollerano e consento nei Re, cose che aborrono nei farabutti da strada.
 
Magari non sarai uno farabutto della scrittura, ma di sicuro non sei un Re, o almeno non ancora, quindi smettila di scimmiottare una regalità che non possiedi…


… tanto più che avere una testa coronata non è comunque una garanzia di successo.

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