MODULO 1 – Cento sfumature di lettori... e di scrittori


Non leggerò mai romanzi “rosa”. Non importa quanto siano scritti bene: non li leggerò mai. Perché è un genere che non mi interessa, neanche un minimo. Probabilità di lettura: 0%.

Leggerò sempre storie di collezionisti. Non importa quanto siano scritte male, le leggerò sempre. Perché è il genere di mio massimo interesse. Probabilità di lettura: 100%.

I lettori “0%” e “100%” sono, rispettivamente, i lettori ghiacciati e bollenti.

Questi lettori non hanno alcun valore, per uno scrittore.

Che colpa ne ho se qualcuno non mi legge comunque, a prescindere da quanto mi sia impegnato nello scrivere e da quanto oggettivamente buono sia il testo? E che merito ho se qualcuno mi legge comunque, a prescindere da quanto poco mi sia impegnato e da quanto scadente sia il testo?

Lo scrittore standard è tarato sui lettori “50%”, i cosiddetti lettori tiepidi, quelli che… non è che questo argomento mi interessi granché, però potrei pure leggerlo, boh, non so, forse sì, forse no…

Fronteggiare un lettore tiepido significa lanciare una moneta: se esce testa, leggerà; se esce croce, non leggerà.

Qual è la sfida dello scrittore? Alzare il 50% di probabilità a suo favore, attraverso la qualità, la tecnica e lo stile della sua scrittura.

Questa è la situazione di base, per gli scrittori normali.

Poi ci sono gli scrittori eccellenti. Sono quelli che puntano ai cosiddetti lettori freddi, quelli che… guarda, non avertene a male, questo argomento non è proprio nelle mie corde, potrei anche leggerlo, sì, ma più probabilmente no.

Fronteggiare un lettore freddo significa giocare a “testa e croce” con una moneta truccata a proprio sfavore, e provare a ribaltare le probabilità contrarie attraverso la qualità, la tecnica e lo stile di scrittura, provare cioè ad alzare la temperatura del lettore grazie alla scrittura in sé.

E poi ci sono gli scrittori mediocri. Quelli che si rifugiano nella zona di conforto dei lettori caldi, già di per sé ben predisposti a leggere, e spesso neppure per un reale interesse verso l’argomento, ma solo per una simpatia personale verso l’autore.

Fronteggiare un lettore caldo significa giocare a “testa e croce” con una moneta truccata a proprio favore, e quindi potersi pure rilassare (a volte anche di parecchio) sulla qualità, la tecnica e lo stile di scrittura, perché tanto le probabilità sono già tutte favorevoli.

Ogni lettore ha la sua temperatura, sulla scala [0%-100%], e il complemento a 1 della temperatura del lettore definisce la sfumatura della sfida con cui lo scrittore ha scelto di cimentarsi.

 
Questo manuale è per chi vuol cimentarsi come minimo con i lettori tiepidi – i lettori “50%”, i lettori forse-sì-forse-no, persone esigenti e impazienti, di cui non si conosce l’identità, ma a cui si sa di star sottraendo la risorsa più preziosa, il tempo – e fornisce quindi gli strumenti (tecnici) per alzare le probabilità di tenerli incollati alle proprie pagine.
 
Perché solo con il saldo possesso della tecnica si può tener testa a un lettore tiepido, sfidare un lettore freddo, e più in generale riconsegnare alla scrittura quella patente di nobiltà che le è propria, riconoscerle lo stesso status di una qualsiasi altra forma d’arte, come la musica o la pittura, a cui nessuno si accosterebbe mettendone in sordina i tecnicismi di esecuzione.
 
Il problema non è essere stonati.
Il problema è illudersi di essere intonati quando non lo si è,
solo perché qualche ascoltatre caldo ce lo dà a intendere,
e non aver poi tempo e voglia di diventare intonati,
quando si è realizzato che non lo si è.
Allora, sì, tanto vale smettere. 

Il materiale a cui il musicista dà forma è il suono, il pittore parla coi colori. Perciò nessun rispettabile profano, che parla solo con le parole, azzarda giudizi sulla musica o sulla pittura” - annota Karl Kraus - “Lo scrittore dà forma a un materiale che è accessibile a tutti: la parola. Perciò ogni lettore azzarda giudizi sull’arte della parola. Gli analfabeti del suono e del colore sono modesti. Ma la gente che sa leggere non viene compresa fra gli analfabeti”.

La linea d’argomentazione è spinta sino al paradosso: “Il linguaggio è il materiale dell’artista letterario; ma non appartiene a lui solo, mentre il colore appartiene esclusivamente al pittore. Perciò si dovrebbe impedire agli uomini di parlare. La musica è più che sufficiente per i pensieri che la gente ha da comunicarsi. È forse permesso che ci imbrattiamo continuamente gli abiti con i colori a olio?”.
 
E ancora: “La menzogna culturale ha aumentato la distanza fra il pubblico e l’arte della parola ancor più di quella con le altre arti perché il pubblico è ben convinto, non già di poter sgorbiare con i colori che usano i pittori o fischiare le note che usano i musicisti, ma in compenso di poter parlare nel linguaggio che usano gli scrittori. Eppure potrebbe ancor più, per le stesse ragioni, sgorbiare e fischiare. Si vive a una remota distanza dal linguaggio e si crede, semplicemente perché parlare si può, che parlare si possa. Il rispetto per il linguaggio sarebbe maggiore se ci fosse anche una pittura quotidiana e una musica quotidiana, in modo che la gente si potesse raccontare a fischi e sgorbi quello che ha mangiato oggi”.

In queste intelligenti provocazioni c’è in fondo un dato molto semplice: chi scrive colloca le parole nella pagina, che è un ambiente artificiale, fatto di segni convenzionali, e bisogna perciò assimilare bene e a fondo gli artifici e le convenzioni della parola scritta, se si vuole essere efficaci nella sua gestione, non fosse altro perché la scrittura presume l’attenzione del lettore, senza però poterla verificare (come accade invece nel discorso orale).

A chi si illude di “poter parlare nel linguaggio che usano gli scrittori”, così, spontaneamente, magari solo perché ama leggere; a chi “vive a una remota distanza dal linguaggio”, convinto che scrivere si possa perché scrivere si può, solo perché la scrittura “dà forma a un materiale che è accessibile a tutti”; a chi “azzarda giudizi sull’arte della parola”, solo perché “la gente che sa leggere non viene compresa fra gli analfabeti”, a tutte queste persone il manuale non ha nulla da insegnare.

 

Miseria e vanità

Alessandra mi si piazza davanti: braccia conserte, gambe appena divaricate e sguardo  da inquisitrice.
 
Scivolo ancor di più nella poltrona e mi copro il viso col giornale aperto.
 
Lo abbassa con una manata. «Posso sapere cosa hai detto alla mia amica?»
 
Le rispondo con una smorfia dubitativa.

«Hai capito benissimo!» Sbuffa e affila lo sguardo. «Perché devi sempre essere sgarbato con chi ti fa leggere le sue cose? »
 
Apro più che posso il giornale stropicciato per stirarlo, lo piego in due, in quattro, e lo appoggio sul mobiletto accanto alla poltrona.
 
Mi sollevo facendo leva con le mani su entrambi i braccioli, le nostre spalle si sfiorano. Vado verso la libreria, prendo la scacchiera da uno dei ripiani, e la poso sul tavolo. Mi siedo, con un gesto conciliante della mano la invito a fare altrettanto. Resta immobile, in silenzio, nella sua posizione da inquisitrice. E sia.
 
«Che meraviglia gli scacchi sussurro.
 
Sposto il pedone centrale bianco di due case. «E dove sta la meraviglia, amore mio?» Il cavallo balza in avanti, per occupare il posto lasciato vuoto dal pedone. «Cosa ne sarebbe di questo gioco, se ognuno fosse libero di muovere i pezzi a sua discrezione, secondo l’umore o le convenienze del momento? Cosa ne è di qualsiasi gioco, se lo privi delle regole?»
 
Con lo sguardo la invito a osservare la scacchiera. «La riconosci? È l’apertura di Alapin.» Le indico la libreria perimetrale che circonda il salone. «Da qualche parte, su questi scaffali, abbiamo la Grande Enciclopedia delle Aperture, oltre mille pagine. Capisci? Le regole sono necessarie, ma insufficienti.» Batto l’indice sulla torre, il cavallo, lalfiere e il re, come fossero i tasti di un pianoforte. «Poi serve la tecnica.» Il pedone alla sinistra del cavallo avanza  di una casa. «Le regole formali sono i requisiti d’accesso al gioco, la tecnica è ciò che rende il gioco interessante, e solo allora, quando il giocatore ha il saldo possesso della tecnica, può sperare di trovare gli spazi per esprimere la sua originalità e il suo genio, ammesso che queste doti le possegga davvero.» Incrocio le braccia. «Altrimenti finisci con l’imitare Alapin, senza sapere che a grandi livelli più nessuno usa questo impianto di gioco.» 
 
Ha ancora le mani sui fianchi e il viso contrariato, ma sembra meno bellicosa.
 
Accenno un sorriso e sposto il cavallo sul bordo della scacchiera. «Portare il cavallo ai margini del gioco è un’idiozia. Nulla ti vieta di farlo, ma 99 volte su 100 è un’idiozia. Perché lo depotenzi Muovo lalfiere in diagonale, avanti e indietro, fischiettando. «Spostare più volte lo stesso pezzo è lecito, ma segnala l’assenza di una strategia: fallo, se vuoi, ma il tuo avversario, o il lettore, se preferisci, capirà che sei in confusione Rimetto tutti i pezzi nella posizione di partenza, faccio avanzare il pedone centrale di due case e sposto la regina in diagonale sino a portarla una riga sotto il pedone.  «L’apertura di Napoleone non è proibita, ma rivela uno stile di gioco ancora grezzo.» Le indico la sedia accanto alla mia e accentuo il sorriso. «Capisci, amore mio?»
 
Si siede e lancia un’occhiata alla scacchiera. «Il rispetto della grammatica, ovvio, ma attenzione alla sovreccitazione da avverbi e aggettivi Sposta un pedone nero e mi punta l’indice sul viso. «E guardati bene dal frequentare quelle sgualdrine delle figure retoriche
 
Ha capito: vedi che qualcosa resta, a furia di ripetere?
 
«La tua amica conosce appena le regole, si vanta di ignorare la tecnica, e pretende vi sia del genio nelle sua scrittura ingenua e spontanea, solo perché vi dedica tempo.» 
 
Le afferro di colpo le mani, re, regina e alfieri cadono sulla scacchiera, la torre finisce sul parquet. «La tua amica confonde la parola scritta con la parola orale, e si crede intelligente nel disquisire di narratori omodiegetici ed eterodiegetici.» Raccolgo la torre e rimetto in piedi gli altri pezzi. «Scrivere richiede coraggio, diceva Pontiggia, ma la tua amica ha solo il coraggio dell’incoscienza. Esibisce gli scivoloni degli scrittori di successo e dei grandi del passato per giustificare le sue oscenità, e poi dice di amare la scrittura Sospiro. «Roba da rispondergli come Caccioppoli allo studente che gli dichiarava il suo amore per la matematica: guaglio’, ma nun si’ ricambiat’
 
Soffoca una risata e abbassa la testa per negarmi la soddisfazione di averla persuasa, i riccioli neri le coprono il viso.
 
Eh no, mi spiace, ora non mi basta più vincere: ora voglio stravincere.
 
«La tua amica non ha gusto nella scelta delle parole, perché ne sopravvaluta la forza: si illude di poter rendere una bella giornata di primavera scrivendo semplicemente era una bella giornata di primavera, di far provare paura al lettore scrivendo che il personaggio ha paura, di fargli sentire freddo precisando che la temperatura è 30° sotto zero.»
 
Mi alzo per andare alla libreria, alla ricerca della mossa con cui dare scacco matto.
 
Giro intorno a passi lenti: Gli stratagemmi di Satana, di Aconcio; Teoria dei sentimenti morali, di Smith; Trattato sulla natura umana; di Hume. No, questi non servono, non ora.
 
Accelero il passo: Apologia di un matematico, di Hardy; La variante di Lunenburg, di Maurensig; Sfera, di Crichton; Euridice aveva un cane, di Mari; Febbre a 90, di Hornby; La cittadella, di Cronin. No, no
 
L’arte di persuadere e Saper leggere, di Prezzolini; La voglia di studiare e L’illusione di sapere, di Piattelli Palmarini; The Importance to Being Earnest, di Wilde; La Fine di un Regno, di de Cesare; Racconti di Poe; la variopinta collezione dei Pitigrilli; l’opera omnia di Pirandello; Il deserto dei tartari, di Buzzati.
 
Il dito scorre veloce sui dorsi dei libriIl Gattopardo!
 
Lo sfilo e mostro la copertina ad Alessandra. «La tua amica non può migliorare perché si crede perfetta: la sua vanità è più grande della sua miseria.»

 
Qui la pensiamo come Giuseppe Pontiggia: “Non ho mai conosciuto nessuno che sia ‘nato’ scrittore. Ho conosciuto alcuni che lo sono diventati dopo un tirocinio molto duro, fatto di tentativi, scacchi, fallimenti, provvisorie esultanze e ricorrenti depressioni. […]. Chiedersi se scrittori si nasce è come chiedersi se Yehudi Menuhin sia nato violinista. E i maestri? E le prove? E i progressi? Dove sarebbe se non avesse studiato musica? E poi: chi frequenta un conservatorio studia da genio? Viene bocciato se non è almeno Sibelius? O più semplicemente si ottiene qualche risultato: che al termine degli otto anni sappia suonare uno strumento, leggere e comporre partiture e avvicinare con maggior competenza il linguaggio musicale. Eccoci dentro il cuore del problema. Perché in Italia è normale frequentare il conservatorio e strano invece approfondire le tecniche della prosa? Si parte forse dal presupposto che a scuola si è imparato a scrivere?
 
Qui si è convinti che lo scrittore deve preoccuparsi non solo di esprimere ciò che giudica importante – le cose che urgono in gola, per dirlo con Ford Madox Ford – ma soprattutto di dargli una struttura che le tenga in piedi, in modo che possano poi vivere da sole, indipendentemente da chi le ha scritte.
 
Qui si è convinti che questa struttura non viene appresa a scuola o all’università, dove al più si imparano le regole grammaticali e sintattiche, o la storia della letteratura, che per uno scrittore sono l’equivalente della fedina penale pulita per un carabiniere: il minimo.
 
Qui si è convinti che il romanzo non è quello che uno ha vissuto, come blaterano gli ingenui entusiasti, ma quello che deve scrivere: non importa quanto emozionante sia stata una certa esperienza per te, che l’hai passata sulla tua pelle nel mondo reale; conta solo la tua abilità nel trasferirla nel mondo della pagina – un mondo artificiale, da costruire secondo regole precise – affinché chiunque la legga possa sentirla come una sua esperienza.
 
Qui si è convinti che tra arte e tecnica non solo non c’è nessun dualismo (nessuna contrapposizione) ma c’è dualità (l’una è lo specchio dell’altra) perché scrivere non è un atto spontaneo, per quanto sembri naturale, ma “mediato dalla acquisizione di una tecnica”, proprio come nuotare, ricorda Pontiggia; e poiché la téchne dei greci equivale all’ars latina, “la tecnica del nuoto [che] sfrutta semplicemente nel modo più funzionale le potenzialità del corpo immerso in acqua” altro non è che “un’arte che nasce dallo studio della natura e che le consente di cooperare nel modo più positivo alle finalità dell’uomo”; esattamente come avviene in scrittura.
 
Estratto dalla “Lezione 13 – Per scrivere bene imparate a nuotare” di Giuseppe Pontiggia.
 


Estratto da La voglia di studiare – Cos’è e come farsela venire, di Massimo Piattelli Palmerini.
Anche in scrittura, come nel nuoto, “ci si deve forzare a scendere, prima di risalire”,
anche in scrittura per “bloccare un riflesso istintivo” serve una “lunga e laboriosa tecnica”,
che però, una volta acquisita, “diventa perfettamente naturale”.
  
Qui dobbiamo essere tutti profondamente convinti che la scrittura è una forma d’arte, con i suoi standard e i suoi canoni, da studiare e metabolizzare all’interno di un apprendistato severo, fatto di tentativi e fallimenti, di confronti continui con un maestro, di vagli rigorosi di altri scrittori o lettori (tiepidi o freddi).
  
Chi non se la sente, può pure fermarsi qui.
 


Tu non vuoi lettori e commenti così, proprio no, assolutamente no! 
Tu non scrivi per gente a cui “stai simpatico perché non hai mai mancato di rispetto”.
Di questi lettori caldi, tu, scrittore, non sai che fartene.
E tu, scrittore, non vuoi neppure scrivere con questo atteggiamento:
soltanto per totalizzare visualizzazioni e commenti a più non posso
(e quindi smettere di scrivere se visualizzazioni e commenti non arrivano)
o se i tuoi scritti si ritrovano, loro malgrado, incastrati tra altri che non apprezzi. 
Tu non vuoi comportarti così, proprio no, assolutamente no!
Tu vuoi scrivere perché hai qualcosa di importante da dire,
e vuoi dirlo al meglio delle tue capacità di applicazione della teoria della scrittura. 
È per questo – e solo per questo – che vuoi scrivere, questo è il tuo unico obiettivo.
Visualizzazioni, commenti, like, vendite, applausi, denaro si otterranno “per ricaduta”,
come conseguenza dell’aver centrato perfettamente il tuo unico obiettivo:
applicare la teoria della scrittura al meglio delle tue capacità,
con l’impegno a perfezionarsi continuamente.
 
 
 
Tu non vuoi frequentare gente così, proprio no, assolutamente no!
Tu non vuoi confrontarti con persone convinte che per fortuna non esistono regole.
Piuttosto, vuoi imparare per bene le regole e le tecniche e sforzarti di applicarle al meglio.
Tu non vuoi la compagnia di persone che vaneggiano di narratori inaffidabili (molto di moda).
Tu vuoi scrivere con la consapevolezza che oggi, nel 2023, non esiste più alcun narratore.
Ma, soprattutto, tu non vuoi danzare intorno al falò delle vanità,
non vuoi commentare solo per far sapere quanto sei figo nelle tue letture.
Tu non vuoi questo: proprio no!

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