Modulo 18B – Briciole sparse sui “Punti di Vista” multipli
Una storia, un “Punto di Vista”, una storia, un arco di trasformazione, come imparerai a dire a conclusione del modulo 23.
Dopodiché, però, due parole diciamole sui “Punti di Vista” multipli, non fosse altro per non lasciare insoddisfatta una sciocca curiosità che potrebbe pregiudicare il tuo apprendimento.
Ti darò solo delle briciole, nulla di sistematico e strutturato, non ora almeno, perché non ne vale la pena. Forse, un domani, tornerò su questo modulo per arricchirlo. Per ora rimaniamo sull’essenziale, con l’obiettivo di toglierti ogni prurito.
I coprotagonisti: molteplicità apparente
Immagina un’ambientazione in stile L’attimo fuggente.Il nostro personaggio è un ragazzino di sedici anni, con l’anima agitata da tutti i tormenti tipici di quell’età (come vediamo nel film). Buttiamo giù una possibile lista di cose che il nostro ragazzino deve imparare:
- emanciparsi dalla famiglia, capire che lui non è la sua famiglia, che le aspettative dei genitori non sono obblighi da assolvere, sempre e comunque, anche quando contrastano violentemente con la propria anima;
- vincere la timidezza che lo porta a isolarsi e a perdere così quelle esperienze che se non le vivi ora, che sei un ragazzo, probabilmente non le vivrai più, e che sicuramente non avranno mai lo stesso gusto del viverle adesso, quando devono essere vissute;
- evitare quelle reazioni scomposte con cui a volte cerca di vincere la timidezza, che non producono però nessun risultato, se non farlo stare peggio a livello emotivo e a subire punizioni;
- trovare la forza per manifestare i propri sentimenti verso le ragazze, per mettersi in gioco, per rischiare se occorre, perché forse, chissà, quella ragazza non sta aspettando altro.
È tanta roba, accidenti. Infilare tutte queste cose in un unico personaggio non è una passeggiata. E poi, in questo caso specifico, si rischia di creare una macchietta, lo sfigato della scuola, il nerd, se non si è particolarmente abili a declinare in fattispecie concrete i tratti generali, dosandoli al punto giusto.
E allora cosa si fa? Semplice: si creano quattro personaggi diversi – che chiameremo coprotagonisti – tutti emanazione dell’ideale personaggio iniziale – il personaggio “padre” – e ognuno portatore di uno specifico profilo caratteriale.
È proprio la situazione creata nel film L’attimo fuggente: Neil Perry (il ragazzo suicida), Todd Anderson (il primo a salire sul banco), Charlie Dalton (il casinista che sarà espulso) e Knox Overstreet (il ragazzo innamorato della biondina già fidanzata) esprimono ognuno un tratto – e solo quello – del personaggio ideale costruito a tavolino: sono “le quattro parti di un’anima”.
Imparerai a esprimerti correttamente nel modulo 23B, e allora dirai che i coprotagonisti si rendono necessari quando il difetto fatale del protagonista è così articolato e ricco di sfumature, da suggerirne la spalmatura su più personaggi.
Per ora facciamola semplice: abbiamo “Punti di Vista” multipli con coprotagonisti quando un unico personaggio ideale viene scisso funzionalmente in n personaggi reali, ognuno espressione di uno specifico tratto del calco iniziale.
È quindi relativamente facile intrecciare le storie dei coprotagonisti, perché tutti provengono dalla stessa matrice, e quindi si potrà tenerli assieme in una stessa trama con un minimo di accortezza e sensibilità artistica.
I protagonisti separati: molteplicità reale
Le cose cambiano quando si parla di storie corali in senso stretto, con n personaggi realmente diversi, strutturalmente separati all’origine.
Devi quindi operare una riduzione dimensionale degli n archi di trasformazione, sia per rimanere entro un numero umano di pagine, sia per dare una sensatezza all’intera vicenda.
Ovviamente non ci riuscirai. E quindi sarai obbligato a imbarcati in una storia seriale che – detto molto alla buona, nella logica delle briciole sparse – significa scrivere l’ennesima trilogia di cui sinceramente nessuno sente il bisogno
Questa autrice ha confuso la narrativa scritta con le serie tv,
Già, perché tu stai scrivendo, semmai te ne fossi dimenticato. Tu crei il mondo della pagina, con tutti i vincoli “fisici” a cui questo mondo devo soggiacere. Sei uno scrittore, non il regista di un film (e meno che mai di una serie tv) e la scrittura non è il cinema.
Ne parleremo nel prossimo modulo, ma sfruttiamo senz’altro l’occasione per introdurre l’argomento e acclimatarci al meglio.
Al cinema c’è una telecamera che inquadra tutto da fuori, con la prospettiva o il grado di dettaglio desiderato, per soddisfare le esigenze del regista. Siamo abituati – al cinema – a vedere un’inquadratura dell’astronave dell’esterno, tra Saturno e Giove, seguita l’istante dopo da un’inquadratura interna che ci mostra la sala comandi. Siamo abituati, al cinema, a vedere delle scene con alcuni personaggi e altre scene con altri personaggi. E nessuno si scandalizza se vi sono scene dove il protagonista non compare. La telecamera, proprio perché esterna alla storia, è libera di muoversi e di inquadrare quel che più gli conviene, e nel mondo in cui gli conviene, per trasmettere le informazioni desiderate.
Ma tu – ora – hai dei “Punti di Vista” multipli (e non importa se sono coprotagonisti o meno): a chi consegnerai il portale per connettere il lettore al il mondo della pagina?
L’espediente classico è alternare i capitoli tra i vari “Punti di Vista”.
Quindi, se hai due “Punti di Vista” – chiamiamoli Valeria e Mattia – i capitoli dispari potrebbero essere di Valeria (accediamo al mondo della pagina attraverso Valeria) e i capitoli pari di Mattia (vediamo il mondo attraverso Mattia): capitolo 1, Valeria; capitolo 2, Mattia; capitolo 3, Valeria, e via così, con questa altalena Valeria-Mattia, sino al capitolo finale.
È sconsigliato, ma non proibito, alternare i “Punti di Vista” all’interno di uno stesso capitolo. Quindi, ad esempio, se il capitolo 1 si compone di 10 scene, allora 5 potrebbero essere di Valeria e 5 di Mattia; oppure le prime 9 di Valeria e l’ultima di Mattia, in modo da alzare la palla al capitolo successivo che sarà interamente (o per lo più) dedicato a Mattia.
Quando si sceglie la soluzione ortodossa – un capitolo, un “Punto di Vista”, senza interferenze – allora è prassi segnalare il personaggio intitolando il capitolo col suo nome (rispettivamente “Valeria” e “Mattia”, nel nostro esempio); quando l’alternanza avviene all’interno di un capitolo si ricorre spesso a contrassegno identificativo (ad esempio una rosa per Valeria, un peso da palestra per Mattia) posto all’inizio della scena che lo riguarda (mi raccomando, però, la sobrietà).
E – come ripetuto ossessivamente – attenzione a non smarrire il senso di ciò che si stai creando. Capitolo 1, la storia di Valeria; capitolo 2, la storia di Mattia; capitolo 3, la storia di Valeria; capitolo 4, la storia di Mattia… sì vabbè, ma le storie di Valeria e Mattia quand’è che s’incontrano? Un lettore tiepido si infastidisce, se ha l’impressione di leggere due storie separate.
La storia è una, e una rimane, e le vicende di Valeria e Mattia devono sempre esser percepite intrecciate, non parallele: Valeria e Mattia devono danzare insieme, come si ballerebbe a un ricevimento di corte, con armonia, dolcezza, fluidità, e non come si agiterebbero in una discoteca al solo scopo di strusciarsi un po’.
Bisogna avere la sensazione forte – da lettori – di una ricchezza di contenuti e sensazioni che solo una molteplicità di prospettive (di “Punti di Vista”) può offrire. Ma il rischio di creare delle brodaglie informi è altissimo, se non una certezza, quando si è all’inizio.
In my honest opinion
Non capisco – non voglio capire? – una storia corale con protagonisti multipli, cioè n storie di n protagonisti strutturalmente diversi, inevitabilmente mischiate in m libri. Perché mai dovresti creare una simile narrazione, in scrittura?
La scrittura ha un limite spaventoso: può far uso solo di segni grafici (parole) su una pagina.
In scrittura non si vede e non si sente niente per via diretta, e tutto deve essere evocato attraverso l’immaginazione.
E allora tu che fai? Trasformi la debolezza in un punto di forza: visto che tutto deve essere evocato, tu evocherai tutto, ma proprio tutto, a cominciare da quelle cose che al cinema sono inaccessibili proprio perché al cinema le cose si vedono e si sentono, e quindi la nostra immaginazione non può plasmarle, e il nostro cervello deve accettarle per come le vede e le sente.
Tutta la bravura dello scrittore sta nel trasformare la debolezza del “non vedo, non sento” nel punto di forza “posso diventare il personaggio”, un obiettivo realizzabile solo ed esclusivamente in scrittura, all’interno del mondo della pagina.
Ma allora mi spieghi perché vuoi sballottare il lettore tra innumerevoli “Punti di Vista”, se tutta la forza della scrittura è farlo rimanere sempre in un unico “Punto di Vista”?
Chi vuol scrivere storie corali tenta più o meno consapevolmente di replicare il cinema (dove il “Punto di Vista” non esiste, a esprimersi con rigore, e lo spettatore è abituato a continui cambi di prospettiva) e proprio non capisco perché si debba battere una strada così tortuosa (e probabilmente perdente) anziché sfruttare al massimo tutte le potenzialità dello strumento che si ha tra le mani.
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