Modulo 26 – Esercizio #7

 
È possibile imparare a scrivere bene (secondo la tecnica del mattoncino) senza studiare la teoria, ma solo con la lettura ripetuta di testi scritti bene (secondo la tecnica del mattoncino)?

La risposta è un “no” senza appello, se la domanda è posta in termini così netti.

La lettura di un testo narrativo equivale alla fruizione di un’opera compiuta, e in che modo la semplice osservazione di un’opera finita, realizzata da altri, potrà trasmetterti la tecnica di esecuzione?

In che modo osservare un quadro, o sentire una sinfonia, fa di te un pittore o un musicista? In che modo leggere fumetti o vedere partite di calcio ti trasformerà in un vignettista o in un calciatore? In che modo…beh, presumo tu abbia capito.

La tua sensibilità potrà ancora permetterti di apprezzare delle finezze che sfuggono ai più – in un dipinto, in una sinfonia, in un fumetto, in una partita di calcio – ma realizzare l’opera rimane un’altra storia: Vittorio Sgarbi sarà pure un eccellente critico d’arte, ma dubito che sappia impugnare un pennello; Aldo Grasso – il più temuto critico televisivo – non credo che raggiungerebbe l’1% di share, se mai dovesse realizzare un programma; e via così.

Pensare di imparare a scrivere semplicemente leggendo molto – scambiare l’amore per la lettura con la capacità di scrittura – è come credere di poter scoprire il trucco di un gioco di prestigio, osservandolo ripetutamente. Non funziona così. Se il mago è un vero mago, tu osserverai 10, 100, 1000 volte la sua magia, senza mai capire come abbia fatto a tirar fuori un coniglio dal cilindro. Il trucco lo devi già conoscere, per poterlo poi riconoscere durante la magia.

Dunque, no, non è possibile imparare a scrivere bene (secondo la tecnica del mattoncino) con la semplice lettura ripetuta di testi scritti bene (secondo la tecnica del mattoncino) e senza lo studio della teoria.

È però sufficiente alterare un minimo la domanda, per diventare possibilisti: si può imparare a scrivere bene (secondo la tecnica del mattoncino) avendo delle indicazioni generali di teoria, da abbinare alla lettura ripetuta di testi scritti bene (secondo la tecnica del mattoncino)?

Parliamone.

C’è stato un tempo in cui ero giovane e stupido – non come ora, che sono solo stupido – e pensavo di educare le masse alla buona scrittura attraverso l’indicazione degli errori presenti nei loro testi, opportunamente concettualizzati, e la contestuale proposizione, da parte mia, di testi scritti secondo i migliori standard.

Così, con questo piglio, ho preso parte a una piattaforma di scrittura per più di due anni. I feedback sono rimasti in chiaroscuro. Alcuni (pochi) non mancavano di ringraziarmi, perché – cito testualmente da un messaggio privato – “imparo più dai tuoi commenti che non dal corso di scrittura a pagamento, a cui mi sono iscritto”. Altri (la maggioranza) erano infastiditi dalla mia intromissione nei loro “69” letterari . E poi c’era una frangia che non si esponeva, che restava silente ma assimilava per contatto, e di quando in quando proponeva dei testi dove si vedeva che stava entrando nel giusto ordine di idee, anche se – fatalmente – mostrava delle creazioni con varie e diffuse insufficienze, proprio per la mancanza di uno studio rigoroso.

Ti propongo di seguito il migliore di questi testi liminari, che riscrivo col font Quicksand – riservato ai testi validi – anche se presenta innumerevoli sbavature: diciamo che vuol essere un incoraggiamento.



Questi palazzi sembrano cadere a pezzi da un momento allaltro e il quartiere è pieno di topi che girano come cani addomesticati, sarà per quella discarica laggiù in fondo alla strada.

Brutto tempo oggi.

«Favolosa ti do una scatoletta, e stai attenta a non farmi cadere che poi mi ci vuole anche la badante. Non vivo più al Ritz come un tempo.»

Ehi ma sono già le otto? Ecco l'autobus che porta a scuola i ragazzi. E infatti c
è già il signor Balù che spazza di fronte al suo negozio di frutta e verdura, e non sgarra mai di un secondo. Quando mi vede mi fa sempre un cenno con la mano. Pover'uomo sapesse che ogni tanto gli frego le mele.

E poi c
è Paolino il figlio di quei tamarri del quarto piano che invece di andare a scuola porta a spasso il cane. Ma che io sappia, il cane non ce lha mai avuto. Che delinquente! Trascina e strattona un povero cucciolo che ha legato con una corda al posto del guinzaglio.

Apro la finestra. «Ehi Paolino. Di chi è quel cane?»

Alza la testa come fosse stato colpito da una pigna. «Mio... perché?»  e continua a strattonarlo.

«Perché non ha un guinzaglio?»

«Non ce l
ha e basta.»

Lo prenderei a schiaffi.

«Io ho un guinzaglio, se vieni su da me te lo regalo.»

«Ci penso da solo, vecchia.»

Ragazzino idiota.

«Se vieni, gli diamo anche qualcosa da mangiare, i tuoi genitori poi magari non lo vogliono, lo devi abbandonare e muore di fame o va sotto una macchina.»

«Chissenefrega.»

Che bandito.  «Te lo pago e lo prendo io.» Caspita, l
argomento gli interessa.

«Quanto mi dai?»

Gli faccio segno di stare zitto e di salire.

«Sali che non posso urlare.»

«Basta che non mi freghi vecchia.»

Lo aspetto sul pianerottolo. Tira il cucciolo come fosse uno straccio per i pavimenti.

«Prendilo in braccio.»

Che faccia da schiaffi.

«È sporco e puzza di merda.»

Mi abbasso verso il cucciolo con un bocconcino.

«Hai visto? Basta usare il cervello.» 

«E tu sei vecchia e puzzi come lui.»

«Certo che sono vecchia, ma ci diventerai anche tu. E neppure tu sai di fresco e cerca di calmarti se vuoi i soldi. La prima cosa è riempire una ciotola dacqua e dargli da bere. Poi gli diamo una bella pulita e così può rimanere qui almeno per stanotte, mentre tu pensi a quello che vuoi fare.» 

«Voglio i miei soldi.»

È incuriosito dalla sala, dal camino acceso, dalle fotografie nella libreria e da Favolosa che indifferente sonnecchia sulla poltrona. Poi sparisce in camera da letto e torna con un porta ritratti. 

«E questa nella foto chi è?» 

«Sono io.»

«Ma questa sembra un'attrice, tu sei una befana.»

«Per avere ottantanni non sono così male, bello. Comunque ero proprio unattrice.»

«Non ci credo.»

«Già tu non credi a un sacco di cose e invece abbocchi per un sacco di altre. Vuoi dare un nome a questo cane?»

Alza le spalle. «Boh.»

«Dagli da mangiare.»

Il cane gli va incontro festoso.

«Lui ti vuole bene, nonostante tutto. I tuoi genitori non ci sono stasera?»

«Mia madre fa la puttana e mio padre è in carcere.» Lo dice senza apparente emozione.

«Sono cose che succedono.»

«E tu perché sei sola?»

«Perché mi sono divertita, mariti e figli non li ho voluti. Pensa se mi veniva uno come te.»

Mi guarda divertito. «Anche tu eri una puttana?»

«No. Non avevo bisogno di soldi.»

Abbassa lo sguardo e vedo la sua prima espressione da adolescente.

Poi mi guarda di nuovo con un sorrisetto furbo.

«Quanto soldi mi dai allora per il cane?»

«Niente, finché non lo tratti come si deve e non mi ridai l'anello che mi hai rubato.»

«Io non ho rubato niente.»

«Ti spunta dal taschino sinistro. Uno, ci sono le telecamere, due lanello non vale niente. Lo vedi che non sei sveglio ancora?»

«Vaffanculo.»

Cerca di scappare ma la porta è chiusa dal dentro e lo riprendo per un braccio. Mi sfida con lo sguardo e io pure.

«Falla finita. Hai capito?»

Prova a svincolarsi e mi da una spinta e per poco non cado per terra.

«Stronza.»

Stavolta mi parte uno schiaffo bello secco e prendo il mattarello.

«Io non scherzo hai capito ragazzino?»

È tutto rosso ma non piange e mi fissa. 

«Lo dico ai miei genitori. Befana.»

Mi scappa da ridere.

«Figurati! E chi ti crede, meglio contrattare con me.»

Sta per terra seduto in un angolo con la testa fra le mani.

«Allora come lo chiami il cane?»

«Mi importa un cazzo.»

Sta per mettersi a piangere e gli tendo la mano.

«Dai alzati. Ti pago a patto che tratti bene il cane e mi fai qualche servizio.»

Alza la testa e mi guarda.

«Cioè?»

«Accudire il cane, fare la spesa, passare lo straccio, dare una spolverata.»

Tira su con il naso. «Tipo un lavoro?»

Gli alzo il mento e lo guardo. «Sì, ma devi rigare dritto ragazzino e diventare in po
più educato. Alla prima che fai ti denuncio. E finisci male.»

«Quanto mi dai?»

«Dipende da come lavori e come ti comporti. E poi dammi lanello.»

Apro la mano. «Bravo.»

Sbuffa poi accarezza il cane e sbircia la gatta.

«Ma poi mi lasci andare?»

«Dipende.»

Ricomincia ad agitarsi.

«Da cosa?»

«Stai calmo. Prima ti devi scusare.»

«Mi devo fidare di te?»

«Non hai scelta amico. In fondo è un buon affare.»

«Come ti chiami?»

«Caterina.»
 

 
Io soffro nel vedere un testo con grandi potenzialità, ma frustrato dall’incompetenza.

Qui si vede che l’autore si è instradato sulla via giusta, ma si vede pure che non ha granché idea di come percorrerla.

Si parte così.

Questi palazzi sembrano cadere a pezzi da un momento all’altro e il quartiere è pieno di topi che girano come cani addomesticati, sarà per quella discarica laggiù in fondo alla strada.

Brutto tempo oggi
.

Non è male, ma i margini di miglioramento sono notevoli.

L’autore ha scelto di aprire la narrazione con una percezione visiva della protagonista, e riporta sulla pagina quel che la protagonista vede, filtrandolo attraverso la sua psicologia: ne viene fuori è un senso di luogo preciso, vivido.

Osserva come tutto sia interno alla scena: l’autore c’è (ovvio) ma non si vede (e qui serve abilità) e con poche pennellate ben assestate ha restituito il quadro d’assieme (in accordo col principio dell’iceberg) senza mai intromettersi nel quadro, senza mai rivolgersi direttamente al lettore (senza “rompere la quarta parete”), senza ingozzarlo di spiegazioni (infodump).

Il fatto che i palazzi “sembrano cadere a pezzi” non è una realtà oggettiva, ma la reinterpretazione soggettiva di ciò che il personaggio vede: è il filtro psicologico della sua percezione sensoriale, che ci dà una prima indicazione su di lei (se il personaggio fosse nato e vissuto sempre in quel quartiere, allora quei palazzi in quello stato, per lui, sarebbero la normalità, e non li vedrebbe certo “cadere a pezzi”).

La figura retorica (i “topi che girano come cani addomesticati”) è appropriata e pertinente, coerente con il luogo, e aiuta a far chiarezza sia sul degrado del quartiere, sia su come questo degrado venga considerato normale per chi ci vive (a livello di micro-editing, più che “addomesticati” direi “domestici”); e ci conferma l’intuizione iniziale: il personaggio vive sì in quel quartiere, ma non considera normale ciò che invece lo è per gli altri, e quindi si trova lì, sì, ma evidentemente ha una storia diversa dagli altri (come in effetti scopriremo nel seguito, e averlo fatto presagire è una finezza).

Nota poi l’eleganza nell’applicazione di una regola standard di scrittura: la percezione genera il pensiero. Il personaggio vede i topi (li percepisce in senso fisico e psicologico) e subito ha un pensiero coerente con quella percezione (“sarà per quella discarica…”), che a sua volta arricchisce il quadro e rafforza la sensazione di un quartiere degradato.

Lo stesso schema lo ritroviamo col fruttivendolo Balù: il personaggio lo vede, e ha un pensiero congruente (“ogni tanto gli frego le mele”) con cui l’autore ci passa altre informazioni. Poche cose, scelte bene, presentate nel giusto ordine, hanno creato un mondo.

Nota ancora l’eleganza: non viene stilata nessuna carta d’identità del personaggio, ci viene solo detto – dal di dentro della scena, come conseguenza di ciò che avviene in scena – che ogni tanto ruba delle mele. E così capiamo che non se la passa granché bene, ed è così che, nella testa del lettore, tutta la vicenda diventa tridimensionale.

Qual è allora il problema, se così tante cose sono fatte bene?

Sostanzialmente non sappiamo dove si trova il personaggio: per quel che ci viene detto potrebbe essere a casa (come effettivamente è) o per strada (ipotesi verosimile) e non si può escludere che stia osservando tutto dall’alto. Anche il “brutto tempo” è comunicato male, scrivendo direttamente “brutto tempo”, che è un’espressione vaga, associabile a una molteplicità di stati (non sappiamo se piove, se è solo nuvoloso, se c’è vento oppure no).

La pagina è uno spazio da ottimizzare. La bravura sta nel selezionare gli elementi che meglio di altri comunicano ciò che vogliamo far sapere, e disporli in modo da agevolarne la simulazione da parte del lettore.

Quindi?

Quindi si potrebbe iniziare nel modo classico, con un’azione del personaggio che lo localizza. Qualcosa del tipo:

Scosto la tenda sulla finestra della cucina: goccioloni d’acqua scivolano sul vetro, il vento sta ribaltando gli ombrelli della gente per strada.


Così sappiamo dove si trova il personaggio e abbiamo pure reso l’idea del “brutto tempo” (poi, al solito, vale la precisazione ormai usuale: l’autore, ragionandoci da solo, per tutto il tempo necessario, potrà trovare soluzioni infinitamente migliori di quelle che io posso produrre su due piedi, giusto per rendere l’idea).

A questo punto, però, dovremmo pure modificare la collocazione di Paolino, visto che c’è pioggia e vento. Potremmo metterlo ad esempio sotto un cornicione, nel tentativo di ripararsi dall’acqua (e così inseriamo anche un conflitto tra il personaggio e l’ambiente circostante).

Questi meccanismi circolari – per cui una modifica in un punto nel testo obbliga a modificare ciò che c’era prima o viene dopo – sono tipici di ogni buona (ri)scrittura.

Tutta questa parte:

E poi c'è Paolino il figlio di quei tamarri del quarto piano che invece di andare a scuola porta a spasso il cane. Ma che io sappia, il cane non ce lha mai avuto. Che delinquente! Trascina e strattona un povero cucciolo che ha legato con una corda al posto del guinzaglio.

è problematica, perché suona troppo recitata – e la migliore recitazione, ricordiamolo, è quella che non sembra una recitazione, che pare naturale – così come presenta un flusso sconnesso; però si può aggiustare con un minimo di impegno, e lo lascio fare a te come esercizio.

Dopodiché arriva il dialogo, dove alcune cose sono fatte tanto bene quanto altre sono fatte male, e – arrivato qui – dovresti essere in grado di individuare le une e le altre.

Vabbè, ho capito, te le dico io: la gestione del conflitto e dell’obliquità rasenta la perfezione, laddove la scelta dei beat tradisce invece notevole pigrizia (alcuni sono proprio tecnicamente sbagliati, e questi scovali da te) e più probabilmente una scarsa conoscenza dei personaggi; così come è un errore la ripetitività della struttura [beat]-[battuta].

C’è poi una grande occasione sprecata: il fatto di avere un personaggio (Paolino) in un ambiente per lui completamente nuovo (la casa della protagonista) legittima la sua attenzione verso ogni minimo dettaglio, di cui il lettore può essere portato naturalmente a conoscenza attraverso le percezioni del personaggio. L’autore ha intuito la possibilità, quando scrive:

È incuriosito dalla sala, dal camino acceso, dalle fotografie nella libreria e da Favolosa che indifferente sonnecchia sulla poltrona. Poi sparisce in camera da letto e torna con un porta ritratti.
 
ma è pessimo il modo con cui vi ha dato seguito (saresti in grado di abbozzare una riscrittura?).

Sul versante della sceneggiatura si può notare la cura messa nella creazione dell’empatia.

Abbiamo una vecchietta tanto carina, tanto bellina, che vuol aiutare un ragazzino mezzo delinquente, e in cambio viene maltrattata: sofferenza ingiusta per un personaggio buono, regola applicata ed empatia creata.

Il personaggio, poi, è proattivo: prende l’iniziativa e non si lagna; e neppure si vendica, pur avendone occasione; regola applicata, empatia rafforzata.

E – a chiudere – il personaggio è (stato) competente: abbiamo una vecchietta che in passato era un’attrice (un lavoro con un elevato coefficiente di difficoltà) e che comunque non si lascia fregare dal ragazzino; regola applicata, empatia blindata.

Dopodiché, sì, qualcuno potrebbe rilevare una certa standardizzazione nelle modalità applicative della regola generale, una declinazione dello “schema Cenerentola”: personaggio moralmente giusto (bambina; vecchietta); sofferenza ingiusta (morte dei genitori; incontro col ragazzino sgarbato); comportamento “eroico” (nessuna lagna). Tutto piuttosto automatico, telecomandato, laddove se le regole in sé sono rigide, lo scrittore conserva sempre ampi margini di autonomia nella loro applicazione, entro cui lasciar correre la sua fantasia.
 
Ma ricordiamoci che l’autore non hai mai studiato la tecnica (di scrittura, di sceneggiatura); l’ha assimilata solo “per contatto”, e tanto gli è bastato per applicare tutto in modo sostanzialmente corretto; dopodiché, ovvio, “tecnicamente corretto” non significa “stilisticamente eccellente”, ma la correttezza tecnica rimane di per sé un buon risultato e rappresenta la base da cui partire per migliorarsi.


 
Cosa ci portiamo a casa da questo testo?
 
Fondamentalmente l’idea che poche nozioni generali sufficientemente chiare, unite a una lettura ripetuta di testi ben congegnati, possono far compiere un bel balzo alla propria scrittura, collocarla su un livello superiore rispetto alla media di ciò che si trova in giro, inclusi gli scaffali delle librerie.
 
Ma la vera sfida non è “scrivere meglio della media”, perché la media è così bassa che chiunque, volendo, può superarla (e di molto): chiunque può staccarsi dalla massa (posizionando il cervello su “on”) in un mondo autoreferenziale di sedicenti scrittori recalcitranti allo studio.
 
La vera sfida – la sfida d’autore – è posizionarsi in quell’1% (sì, 1%, ché 5% è ancora troppo lasco) di persone che scrivono meglio del restante 99%, e non è una sfida che si può affrontare (e vincere) semplicemente con quattro punti cardinali di teoria e molta lettura di testi ben fatti.

Per essere tra i migliori – che poi, visto l’ambiente, è un obiettivo minimale – serve studiare, studiare e studiare ancora; leggere molti testi ben fatti e produrne di propri; sottoporsi a un editing severo; capire i propri errori e tornare a studiare le parti di teoria evidentemente non comprese a sufficienza, non ancora interiorizzate; e poi ricominciare il ciclo.
 
Non c’è altra via, o almeno io non ne conosco, e sinceramente neppure mi interessa sapere se esistono davvero strade alternative, perché questa rimane comunque l’unica per fare della scrittura una sorgente di felicità e soddisfazione.

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