Modulo 15D – Sempre correndo, fantasticando…

 
 
Il gerundio era il mio migliore amico, alle scuole elementari; mio, e di tutti gli altri miei compagni di classe.

La maestra aveva ideato la “gara dei verbi”, per incentivare lo studio attraverso la competizione. Riempiva una cesta con dei bigliettini, ognuno con su scritto un verbo e una coniugazione, e poi divideva la classe in due squadre. Sorteggiava un biglietto e chiedeva a un membro della prima squadra di ripetere il verbo che conteneva. Altro sorteggio, e si passava a un membro della seconda squadra. E si procedeva così, di sorteggio in sorteggio, alternando le domande tra le due squadre, che conquistavano un punto ogni volta che davano la risposta corretta.

Dovresti ora aver capito perché tutti noi – scolaretti – amavamo il gerundio, perché lo vedevamo come il nostro migliore amico. Perché il gerundio lo declami in un istante, qualunque sia il verbo: essendo, essendo stato; avendo, avendo avuto; cucinando, avendo cucinato; mangiando, avendo mangiato; dormendo, avendo dormito… e si potrebbe proseguire sino alla fine dei giorni, a coniugare verbi al gerundio e ad accumulare punti per la propria squadra. Prova invece, se ci riesci, a coniugare il trapassato remoto del verbo cucinare.

Il gerundio è stato il mio migliore amico, e non solo il mio, per tutti i cinque anni della scuola elementare. Poi, come nel classico della Disney The Fox and the Hound (versione italiana: Red e Toby nemici-amici) ha rivelato la sua natura strutturalmente opposta alla mia, con la differenza, rispetto al film della Disney, che nessuna riconciliazione sarà mai possibile.
 
Il gerundio, se non proprio un tuo nemico, sicuramente non ti è amico.

Il gerundio è un modo indefinito” – ci dice Wikipedia – “Le sue caratteristiche precise sono variabili ed emergono solo nel contesto dell’intero enunciato”; e già qui dovresti intravedere i motivi per cui va guardato con sospetto.

Cosa fa il gerundio, esattamente? Tante cose. Limitiamoci a quel che ci interessa.

Il gerundio – anzitutto – crea simultaneità: gli eventi accadono in contemporanea, quando li concateni con il gerundio.

«Stronzo,» borbottò Anna lasciandosi Marco alle spalle.

Funziona? Sì, funziona: perché se i personaggi ci sono stati presentati uno a fianco all’altro mentre passeggiano, allora il tempo necessario a pronunciare la battuta (“Stronzo”) è lo stesso necessario a compiere l’azione (lasciarsi Marco alle spalle).

«Stronzo, sparisci dalla mia vita, non voglio vederti mai più,» borbottò Anna lasciandosi Marco alle spalle.

Funziona? No: primo, perché abbiamo una battuta oltre il limite della lunghezza sostenibile da un dialogue-tag; secondo, perché per pronunciare la battuta servono diversi secondi, quando per lasciarsi alle spalle Marco basta un istante (se Anna gli sta a fianco).

Verifica sempre gli allineamenti temporali tra gli eventi, e prima ancora la loro compatibilità, quando usi il gerundio. Altrimenti finirai con lo scrivere di personaggi che sorridono sbadigliando e di tante altre simultaneità impossibili, ridicole o insensate.
 
Prova a dire “non è che sia particolarmente piacevole” tenendo il naso storto
per tutto il tempo necessario a pronunciare la frase: sei ridicolo, non trovi?
E poi a indicare le rocce ci vuole meno di un istante,
mentre a dire “ma perché si tende ad associarlo alla melma depositata sulla rive”
occorre un tempo incredibilmente più lungo: buffo, non trovi? 
 
E mica succede solo ai dilettanti. Ci cascano anche ai professionisti. Leopardi, ad esempio, quando – nell’Infinito – scrive “ma sedendo e mirando interminati spazi”. Forse andrà bene in poesia, non so, ma sicuramente in narrativa la frase è ridicola: perché per sedersi è sufficiente qualche secondo, laddove il “mirare interminati spazi” (il “godersi il panorama”, insomma) richiederà un tempo di gran lunga maggiore. Ma del resto cosa aspettarsi da uno che scriveva “Sempre caro mi fu quest’ermo colle e questa siepe” con un verbo al singolare (fu) che regge due soggetti (il colle e la siepe)?

Estratto da Gilet Fantasia, in L’ “Affaire” Susanna, di Pitigrilli.
 
L’altra funzione del gerundio è creare un nesso di causa effetto.

Getto una tanica di benzina sul fuoco, alimentando la fiamma.

Il lancio della benzina è la causa della crescita d’intensità del fuoco: la frase esprime un’azione compiuta del personaggio (buttare benzina, mattoncino [A]) mostrandone la conseguenza (il fuoco che si alimenta, conseguenza dell’azione che si manifesta come percezione sensoriale visiva, mattoncino [PSV]) e causa-effetto sono pressoché simultanee (il fuoco si alimenta nello stesso istante in cui riceve la benzina).

Controlla sempre la presenza di un nesso di causa-effetto, quando usi il gerundio, e verifica la compatibilità tra i tempi di attivazione della causa e di manifestazione degli effetti.

Ricorda che l’unica scrittura di narrativa a cui attribuiamo valore è tutta “qui e ora”, ideata e realizzata solo con cinque mattoncini narrativi, da mettere opportunamente in sequenza. E sarà la sequenzialità implicita nella scrittura – già incorporata nel poter scrivere e leggere solo una parola alla volta – a scandire l’accadere degli eventi e a darne il ritmo.

La simultaneità nel mondo della pagina – a esprimersi con rigore – non può esistere, se non in circostanze particolari, e va più che altro creata come impressione, come sensazione, quando proprio la si desidera.

Il gerundio raramente serve davvero; spesso complica la sintassi e appiattisce il suono; introduce un sapore di burocratese di cui persino gli uffici pubblici fanno ormai a meno; e con un minimo di ragionamento se ne può fare a meno, senza alterare il significato di ciò che si vuol esprimere.

Getto una tanica di benzina sul fuoco per alimentare la fiamma.

Continuano a valere gli argomenti già presentati per gli avverbi e gli aggettivi: via libera al gerundio nei dialoghi e nei pensieri, nei mattoncini [D] e [P], perché frasi del tipo “abbiamo incontrato Stefania ritornando a casa” oppure “continuando a sperperare denaro farai una brutta fine” le possiamo benissimo dire o pensare nel mondo reale, e quindi sono legittime anche nel mondo della pagina.

 Analizziamo questo passaggio, che dovrebbe incentivare all’acquisto del libro.
Si comincia con il personaggio (Dimitri) che si sveglia di soprassalto.
E io, lettore, non so perché.
Devo continuare a leggere per saperlo? D’accordo, continuo a leggere.
a questo punto non saprò cosa sta accadendo
fintantoché non avrò letto tutto ciò che sta dopo questo “mentre”
(abbiamo cioè una frase “sbilanciata a destra”).
 E cosa vengo a sapere, una volta arrivato alla fine?
Che l’appartamento trema e sta andando in mille pezzi.
Che vuol dire?
Io capisco che un appartamento possa tremare
– e nella mia testa si raffigura un terremoto, per poi scoprire che non è così,
e quindi sono obbligato a riconfigurare la scena, una delle cose più sgradevoli in assoluto  –
ma cosa significa che l’appartamento sta andando “in mille pezzi”?
Manco fosse un vaso di cristallo che cade dal ripiano più alto della libreria.
E a ogni modo c’è un’inversione del flusso, con la causa che precede l’effetto
(l atto di svegliarsi presentato prima del tremore che ne rappresenta il presupposto).
La frase corretta era qualcosa del tipo “Un tremore svegliò Dimitri”.
Proseguiamo nella lettura: “piccole schegge impazzite sfrecciavano nella camera”.
Anche a sorvolare sulle tante cose che si potrebbero dire su questa frase
– e che lascio a te, come semplice esercizio –
se Dimitri si è svegliato nel cuore della notte,
come si presume in base al settaggio standard,
vuol dire che intorno a lui è completamente buio.
E allora come fa a vedere queste schegge che schizzano ovunque?
E poi schegge… di cosa? Di vetro, presumo.
Ma quanti vetri ci sono, per produrre schegge che schizzano per tutta la camera?.
Proseguo e incontro un altro “mentre”: altra pausa, altra frase sbilanciata a destra”.
Vengo poi a sapere che “i proiettili rimbalzavano e schizzavano ovunque”.
Già, ovunque tranne che su Dimitri: che culo!
“Il vetro della finestra era esploso in un boato, mandando ovunque frammenti appuntiti”.
D’accordo, diciamo che questa è la presa di consapevolezza del personaggio di ciò che è accaduto.
Anche il gerundio tutto sommato funziona, come nesso di causa-effetto.
“Doskov aprì un cassetto”. E adesso chi è questo Doskov? Da dove è saltato fuori?
Mica Doskov sarà il cognome di Dimitri, vero? No, ti prego, dimmi di no.
Preferisco che si sia materializzato così, all’improvviso, ma, ti prego, ti supplico,
non dirmi che Doskov è il cognome di Dimitri.
Proseguiamo: “… dal letto si gettò a terra, strisciando carponi sul pavimento”.
Gettarsi dal letto e strisciare sono azioni che avvengono in simultanea?
Oppure una causa l’altra?
No? E allora perché c’è il gerundio?
E poi: “… cercando di coprirsi il volto dai detriti”.
Ma, santo cielo, o strisci o cerchi di coprirti: non puoi fare entrambe le cose insieme.
Possiamo pure fermarci qui.
So cosa stai per dirmi: “Ma il lettore legge e basta, mica se ne accorge di queste cose”.
Non è vero.
Il lettore magari non saprà esprimersi come ci esprimiamo noi qui,
ma il senso di straniamento lo vive comunque.
Perché il lettore – fattene una ragione – non è scemo.
L’autore ha avuto qui l’ardire di voler agganciare il lettore
con una tipologia di scena tra le più difficili in assoluto:
una scena confusa con una molteplicità di eventi simultanei.
E ha dimenticato i due precetti fondamentali:
che la scena potrà pure essere confusa, ma la scrittura deve sempre essere cristallina;
e che la scrittura non è il cinema, per cui le cose possono accadere solo una alla volta.

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