MODULO 24 – Dalla teoria narrativa alla pratica dell’analisi

  
In quell’Impero, l’Arte della Cartografia giunse a una tal Perfezione che la Mappa di una sola Provincia occupava tutta una Città, e la mappa dell’impero tutta una Provincia.

Col tempo, queste Mappe smisurate non bastarono più. I Collegi dei Cartografi fecero una Mappa dell’Impero che aveva l’Immensità dell'Impero e coincideva perfettamente con esso.

Ma le Generazioni Seguenti, meno portate allo Studio della cartografia, pensarono che questa Mappa enorme era inutile e non senza Empietà la abbandonarono all’Inclemenze del Sole e degl’Inverni”.
 
Il passo di Borges può essere di ausilio per intendere ciò che ora andremo a fare.

L’arco è uno schema teorico, quindi perfetto, coerente ed esaustivo; nasce con finalità normative, per dare le modalità ottimali di progettazione di una storia; definisce una procedura generativa, perché la storia sgorga dell’arco in fase di realizzazione e all’arco ritorna quando la si decompone nelle sue parti costituenti in fase di analisi.

Di dirimpetto all’arco ci sono le opere realizzate, come appaiono sotto i nostri occhi; e nessuno avrà mai modo di sapere se e in che misura l’autore dell’opera – e meglio sarebbe dire l’insieme di figure professionali che vi hanno messo mano – ha avuto intenzione di recepire e attuare le indicazioni dell’arco, in tutto o in parte.
 
Quel che si fa – che si può realmente fare – è un reverse engineering, un lavoro di interpretazione a ritroso, che muove dall’opera compiuta (finita, ultimata) e la filtra attraverso il prisma dell’arco: l’arco diventa quindi  lo strumento di analisi di una realtà osservabile, ma di origine sconosciuta (perché nessuno sa dire se e in che misura l’autore abbia usato l’arco per realizzarla).

Nell’accostare l’arco (la teoria) all’opera realizzata (la pratica) serve l’atteggiamento dei cartografi nel realizzare le mappe: si ragiona “in scala”.
 
Potrà capitare – soprattutto nelle produzioni più recenti, della Pixar, di Netflix o della Disney – di trovare archi cristallini, di scoprire nell’arco una mappa in scala pressoché “1:1” –  questo dice l’arco, questo ritroviamo nell’opera – che a differenza della mappa di Borges non solo non crea problemi, ma dà gusto e soddisfazione (come avviene ogni volta che un modello semplice cattura una realtà dalle apparenze complesse).

Ma potrà anche accadere – in opere più datate – di registrare scarti, approssimazioni e sfasamenti, rispetto alle logiche e alle tempistiche dell’arco; e qui l’arco recupera la sua funzione di mappa in senso proprio, in senso stretto, di strumento per orientarsi all’interno di un territorio; l’arco ci permetterà di far luce su alcuni passaggi dell’opera, ce ne restituirà una visione macroscopica, dall’alto, esattamente come fa una mappa col territorio, a diversi livelli di rappresentazione.

E potrà pure succedere di non vedere nessun arco in superficie, ma di scoprirlo nell’esplorazione del sottosuolo; e allora avremo uno strumento che ci aiuterà a portare a galla gli elementi oggettivi su cui poter reimpostare l’opera per renderla conforme all’arco, semmai si decidesse di modificarla.

Le casistiche sono variegate, e a volerle censire tutte si finirebbe – anche qui – con lo stilare una lista incompleta e prolissa. Va colto piuttosto il messaggio di fondo: l’arco è la mappa dell’opera, funziona “per approssimazioni”, e quindi – in generale – non ci si può aspettare che ricopra esattamente, al millimetro, l’intera opera.
 
Puoi anche vedere l’arco come la versione letteraria dello sviluppo in serie di Fourier dei suoni: l’opera presente nel mondo reale sarà decomposta in una somma di armoniche, e l’arco fornirà lo spettro delle frequenze sino al livello di dettaglio consentito dall’opera.

E ovviamente vale sempre il IV Comandamento: non vedere l’arco dove non c’è.

Se gli elementi dell’arco sono presenti, allora sono sotto gli occhi di tutti, e possono essere delimitati con precisione millimetrica; e se invece non ci sono, allora semplicemente serve accettare la loro assenza (non ci sono: punto e basta) ed è una grave distorsione volerli vedere comunque.

Usare l’arco per esaminare una storia già fatta richiede sensibilità artistica, finezza di ragionamento e profondità di analisi non inferiori – e in alcuni casi superiori – al suo impiego per realizzare una nuova storia.

Dopo tanti moduli sull’arte di progettare (la propria storia), questo modulo vuole ora fornirti i rudimenti dell’arte di analizzare (le storie degli altri).
 

Più film che libri

Estratto da “Insegnare a scrivere: una sfida d’autore”, di Cristina De Santis,
postfazione al volume Per scrivere bene imparate a nuotare.
 
Questo modulo nasce con una varietà di casistiche – storie vere, storie ispirate a casi reali, racconti, romanzi, film e serie tv – ma con un evidente sbilanciamento verso le soluzioni di stampo cinematografico (film e serie tv).

Potrei dedicare un modulo intero alle ragioni alla base della scelta, ma alla fine tutto si riduce a un motivo terra-terra: i film sono fatti meglio dei libri, e non un po’ meglio o tanto meglio, ma incommensurabilmente meglio.
 
E sono fatti (incommensurabilmente) meglio per un motivo altrettanto terra-terra: perché nel cinema gira denaro, molto denaro, e nessuno può essere approssimativo quando c’è molto denaro in ballo.

La scrittura – spiace dirlo, ma è la verità – è invece il refugium peccatorum di tutti gli artistoidi scappati di casa. Pubblicare un libro è come trombare: anche il cane più pulcioso alla fine ci riesce, e a poco vale scremare il marasma delle pubblicazioni con i cosiddetti “libri di successo”, perché la risposta commerciale non garantisce la qualità della scrittura e della sceneggiatura, così come non la garantisce il giudizio della critica (il Premio Strega, per dire, non ha nulla a che fare con la qualità delle storie); e invece – guarda un po’ – noi qui siamo interessati proprio alle qualità tecniche dell’opera, non al denaro che se ne può guadagnare con la vendita, né tanto meno alle vanity metrics.
 
I film sono fatti meglio, e questo è tutto, quindi analizzeremo in prevalenza film; anche perché i film sono più brevi e concentrati, più facili da cogliere nella loro interezza, perciò restano più impressi, e sul piano didattico si prestano meglio a essere esposti e compresi.
 
L’osservazione di Cristina De Santis – in apertura – va di conseguenza aggiornata e qualificata: imparare a scrivere buone storie – inutile girarci intorno – vuol dire imparare a vedere film e serie tv con spirito critico, a registrarne punti di forza e debolezza, perché solo così si può sperare di compiere passi più sicuri, precisi ed efficaci sulla strada della progettazione della propria storia. 
 
È però fondamentale aver chiaro che tra scrittura e cinema non c’è differenza, se guardiamo alla struttura generale del modello narrativo; il gap (notevole) si produce nelle modalità di esecuzione, ma l’arco è uno schema indipendente dal media con cui prende forma (anche se poi lo specifico media favorirà o inibirà specifiche soluzioni operative).
 
Per tutto ciò, il modulo si basa principalmente sull’analisi di film e serie tv, e però rimane aperto ad accogliere suggerimenti e indicazioni dai lettori del blog; scrivetemi pure in privato i vostri desiderata e – se utili per tutti – vedrò cosa si può fare.

pitigrilli373@gmail.com


Un punto di metodo


Riporto di seguito il programma delle analisi, ma ti suggerisco di tornare all’indice per l’esatta declinazione del lavoro che sarà svolto su ogni opera (l’intera analisi nella maggior parte dei casi, o un focus su aspetti specifici in altri, con possibili sfumature intermedie).
 

AUTOBIOGRAFIE

Il precipizio dell’amore, di Mariangela Tarì

 

RACCONTI

I palloni del Signor Kurz, di Michele Mari (in Euridice aveva un cane)

 

ROMANZI

La cittadella, di A.J. Cronin

 

FILM

Feel the Beat

A civil action

Codice d’onore

American History X

 

SERIE TV  

La regina degli scacchi

Squid Game

 
Dopodiché, però, dobbiamo intenderci: io analizzerò le opere – in tutto o in parte, e sono disposto ad aggiungerne altre su tua indicazione – nell’ovvio presupposto che tu le abbia prima fruite e analizzate per conto tuo, visto che ora disponi della strumentazione tecnica per farlo.
 
Te lo ripeto: devi aver visto il film o la serie tv, o letto il libro, e aver provato a formulare una tua analisi, prima di leggere la mia, altrimenti perdi solo tempo.
 
Te lo ripeto ancora: non puoi pensare di capire la mia analisi, se prima non ti sei impossessato per tuo conto – con la tua sensibilità – dell’oggetto che io sto analizzando.
 
Sembra un’ovvietà, ai limiti del banale, ma l’illusione di imparare senza impegno, di crescere sani e forti andando avanti a pappine liofilizzate per tutta la vita, di approfittare della fatica degli altri per trarre un vantaggio a costo zero, questa illusione, dicevo, ha un fascino e un’attrattiva che solo una consapevole azione di contrasto può rivelare per quel che è: un’illusione, appunto.
 
Quindi ora facciamo una bella cosa: ci prendiamo una piccola pausa, giusto una settimana, per darti l’occasione quanto meno di fruire di ogni opera, così da svolgere una propedeutica ineludibile allo studio di questo modulo.
 
Buona lettura, buona visione, e soprattutto buon lavoro.
 

Il Blog riapre il 24 novembre

Commenti

Post popolari in questo blog

L’ARTE DI EMOZIONARE

MODULO 19 – Infodump e rottura della quarta parete: il marchio dei dilettanti

Modulo 18F – Il luogo è un personaggio