Modulo 21C – “E allora Elisa Esposito?”: perché scrivere bene, se poi gli editori pubblicano il Manuale del Corsivo?
Le ragioni del cuore…
Se mi avessi chiesto quando avevo 18 anni perché mi ero iscritto all’università, la mia risposta sarebbe stata “perché si sono iscritti i miei amici, perché mamma ci tiene, e perché non voglio né lavorare né dedicare un anno alla patria per il servizio civile”.Se la stessa domanda me la ponevi a 19 anni, ti avrei detto che andavo all’università per laurearmi, e che volevo laureami per avere in futuro delle maggiori e migliori possibilità lavorative.
Se la domanda l’avessi reiterata a 20 anni, allora ti saresti sentito rispondere che io studiavo perché mi piaceva farlo, perché ero felice quando imparavo qualcosa di nuovo, quando scoprivo una sfumatura nuova di un argomento che già conoscevo, quando traevo una nuova conoscenza dal collegamento tra argomenti noti.
Non me ne importava più nulla – a 20 anni – delle scelte dei miei amici (che per metà si erano intanto persi per strada) né di far piacere a mamma (che semplicemente si preoccupava come ogni mamma) né stavo a pensare alle opportunità professionali (che in realtà non avevo mai saputo bene quali fossero).
Non me ne fregava più nulla di niente.
“Ti sarà avvenuto qualche volta – non sai come – non sai perché – di vedere all’improvviso la vita, le cose, con occhi nuovi… – palpita tutto, a fiati di luce – e tu, sollevata in quel momento e con l’anima tutta spalancata in un senso di straordinario stupore – Io vivo così! In questo stupore! E non voglio sapere mai nulla”.
Anch’io, come il personaggio di Pirandello, vedevo all’improvviso la mia vita e le cose del mondo con occhi nuovi, vivevo un senso di straordinario stupore, anche se per una ragione diversa.
Io volevo solo imparare, sapere, capire, collegare, ma più conoscevo più aumentava la dimensione dell’infinito sconosciuto: per ogni pianeta che conquistavo, per ogni astro su cui piantavo bandiera, un intero universo si spalancava davanti ai miei occhi e mi chiamava a sé; e io ogni volta ripartivo, sulla note di Itaca di Lucio Dalla…
Potrai dirmi che sono stato fortunato, che le condizioni al contorno – sostanzialmente una mamma che mi ha sempre detto “studia figlio mio, studia, non pensare ad altro, ché del resto me ne occupo io” – hanno agevolato il mio percorso spirituale. Sì, è vero, sono stato fortunato, e la fortuna non è un merito. Spero però che tu non me ne voglia neppure fare una colpa. Può essere – al più – una responsabilità.
In una storia che volesse dimostrare la tesi “ad astra per aspera”, io avrei il ruolo dell’antagonista.
e danno tutto quel che hanno in libertà
donano, non si interessano
di ricompense e tutto quello che verrà… ♬
Il tuo obiettivo non è – non può, non deve essere – la pubblicazione, che sarà semplicemente un corollario del teorema di cui ora stai provando a venire a capo: scrivere a regola d’arte, al meglio che puoi, mettendoci anima e cervello, col cuore che batte sempre più forte a ogni giro.
Mi sono imposto di non parlare di argomenti già molto ben trattati altrove, quindi salto a piè pari la spiegazione dettagliata dello “schema Ponzi” che affligge gran parte dell’editoria italiana, e spiega come mai ogni anno si stampino 85.000 nuovi libri – 233 al giorno, 10 ogni ora – quando notoriamente il pubblico dei lettori si assottiglia sempre più, anche per l’aumento della quantità e della qualità delle alternative al cosiddetto “buon libro”. In due parole: un editore – anche tra i big – ha spesso bisogno di stampare libri solo per differire il rimborso dei propri debiti, e quando i debiti dovranno comunque essere saldati, troverà comodo differirli ancora (e ancora e ancora) continuando a stampare libri (ancora e ancora).
Però – mi dirai – si fa presto a dire “grande editore”. Come ci si arriva? È ovvio che se invii il tuo romanzo a una big, e speri di essere selezionato, allora tanto vale giocare una sestina secca al superenalotto: le probabilità di vincita sono 1 su 622 milioni, ma comunque superiori alle chance di avere una risposta dalla Mondadori di turno.
Quindi?
Quindi fai così: valuta quanto sei figa o figo (se non lo sei, le cose si complicano); apri un canale YouTube; tira fuori scemenze a ripetizione, sin quando non ne sorteggi una che ti dia un seguito notevole; apri un canale su OnlyFans (meglio se sei donna); e quando avrai raggiunto una solida base di follower e visite, ecco che potrebbe essere la Mondadori a venirti a cercare, per la più semplice delle algebre.
Sono entrambe situazioni subottimali, per una stessa ragione di fondo, anche se giustificata da fatti speculari.
I tuoi video totalizzano in media un milione di visualizzazioni, ma i tuoi iscritti sono centomila. Qualcosa non torna. Perché i restanti novecentomila non si iscrivono? Evidentemente è solo gente di passaggio, senza un reale interesse verso i tuoi contenuti, a cui non importa seguire il canale ed essere aggiornata su ciò che proponi.
In senso inverso, se hai diecimila iscritti, ma i tuoi video faticano a toccare in media le mille visualizzazioni, allora i tuoi follower sono per lo più nominali, gente che si è iscritta ma poi si è dimenticata – di te, del tuo canale, dei tuoi contenuti – e su questa brigata non ci si può certo fare troppo affidamento.
Si può dire che tutta l’abilità commerciale di uno youtuber stia nell’avere un rapporto tra numero di iscritti (NI) e numero di visite (NV) quanto più prossimo all’unità. Rimane complicato risalire alla realtà effettiva che sta dietro a un rapporto NI/NV prossimo a 1, ma quando NI/NV si avvicina a 1 è “come se” la gran parte degli iscritti seguisse regolarmente i contenuti del canale. Il rapporto NI/NV è cioè un indice di fidelizzazione, un indicatore della stabilità della tua base di pubblico (che potrà poi essere indagata con altri strumenti). Quanto più il rapporto NI/NV si avvicina a 1, tanto più lo youtuber può dire – a piena ragione – di avere un seguito, un pubblico.
E le cose si fanno interessanti quando si ha un pubblico, perché quel pubblico può diventare un target di mercato a cui vendere un prodotto.
Serve però fare un passo indietro, e recuperare la visione del numeratore e del denominatore, di NI e NV: se hai 100.000 iscritti (NI=100.000) e una media di 100.000 visite a video (NV=100.000), il tuo rapporto NI/NV è 1; ma anche se hai NI=100 iscritti e NV=100 visite medie a video, il tuo rapporto NI/NV è 1. Capisci bene che la prima situazione è più interessante della prima.
Riassumendo: il rapporto NI/NV deve orbitare intorno a 1, se si vuole una minima sicurezza di avere un pubblico “pulito”; le singole componenti, NI e NV, devono superare una soglia critica N*.
A questo punto – a condizioni soddisfatte – qualcuno potrebbe interessarsi a te, al tuo canale e a ciò che proponi, che si potrebbe pure impacchettare e vendere.
C’è però ancora una variabile da considerare: il tasso di conversione (TC).
Puoi pure esibire un pubblico fidelizzato di NI unità, ma una cosa è vedere video gratuiti su YouTube, altro è spendere del denaro per comprare ciò che porterai sul mercato. In quanti, di quegli NI, metteranno mano al portafoglio per continuare a venirti dietro? Impossibile saperlo, in generale. Serve capire esattamente in quale nicchia sei inserito.
Elisa Esposito, la professoressa del corsivo, può esibire – a oggi – 58.700 iscritti.
Curiuss – tra i migliori canali divulgativi di Fisica, curato da Alan Zamboni – ne ha 155.000.
Se Elisa esposito converte al 50% e Zamboni al 10%, il rapporto di forza si ribalta, e la professoressa del corsivo scalza il professore di Fisica. Tanto più che Zamboni non ha la sponda di OnlyFans.
L’algoritmica del marketing è in sé piuttosto semplice (fammi capire qual è la tua base di pubblico, quanto è stabile e quanta ne posso convertire) ma metterla all’opera richiede un’esperienza notevole. Non parliamo a ogni modo di meccanica quantistica, e alla fine due numeri in croce – per quanto approssimati – si riescono a tirar fuori. E su quei numeri si decide.
Se NI×TC supera una soglia critica N*, avendo alle spalle un rapporto NI/NV abbastanza tranquillizzante, allora sei uno youtuber che può portare un suo prodotto sul mercato. Un libro, ad esempio.
E sarà anzi la casa editrice a venirti a cercare, se i tuoi numeri sono “buoni”. Perché un editore – facciamola semplice – è un signore che vuole guadagnare dalla vendita dei libri, e se la merda si vende in quantità sufficiente a € 17,50 a copia, lui stamperà merda per venderla a € 17,50 a copia. Perché non dovrebbe farlo?
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