Modulo 24M – Costruzione di un profilo caratteriale: il giocatore 456 della serie tv “Squid Game”

 Il giocatore 456 è il vincitore del gioco.

Qualcuno doveva pur vincere – ovvio – ma ciò che colpisce è lo stile con cui il 456 è arrivato alla vittoria, a sopravvivere alla giostra: con un rispetto estremo della vita e della sensibilità di tutti gli altri giocatori, in un ambiente dominato – tendenzialmente e inevitabilmente – da egoismi, meschinerie, sotterfugi e inganni.

La bontà d’animo del 456 – il suo essere un carattere pacifico, mite, altruista – viene comunicata a più riprese, una volta dentro lo Squid Game.

Quando si è creato un principio di squadra in prossimità del gioco delle formine – tra i giocatori 1, 199, 218 e 456 – lui, il 456, non ha nessuna fretta di dichiarare la propria scelta sulla formina con cui giocare.
 
Lascia che sia il 218 a parlare per primo, poi chiede al 199 di esprimere la sua preferenza, e infine guarda il numero 1, che però rimette a lui, al 456, la possibilità di scegliere tra le due opzioni rimaste. Il 456 gli domanda se può davvero scegliere per primo (in realtà per terzo, se si tiene conto che gli altri due hanno già opzionato due formine) e – alla conferma del numero 1 – la sua decisione si indirizza verso l’ombrello (“mia madre mi sgridava sempre perché perdevo tutti gli ombrelli; alla fine ha deciso di darmi solo quelli rotti; io ho sempre sognato di avere un ombrello decente come tutti i miei compagni”, perché – ricordiamolo – tutto deve avere un senso in una storia ben fatta, e anche scelte di fatto arbitrarie devono potersi ricondurre a una qualche motivazione).
 
Subito dopo, però, si premura di chiedere al numero 1 (a quel punto obbligato a giocare con la stella) se per caso non voglia fare cambio, se non preferisca giocare con la sua formina (con l’ombrello).
 
“Va bene la stella? Vuole che facciamo a cambio?”

Il 456 non sa quale sia la formina migliore con cui giocare (la sua scelta, in effetti, è la peggiore) ma il punto è che non sopraffà nessuno della squadra, e dopo aver scelto si mostra ancora disponibile a un cambio, semmai l’altro giocatore preferisse così.
 
Può sembrare una piccola cosa, e invece è tutto: in un contesto in cui l’eliminazione dal gioco equivale alla morte fisica – e dove quindi l’emotività la fa da padrona – offrire agli altri la possibilità di assecondare le proprie intuizioni, o anche solo le fissazioni, rimane un segno di grande rispetto verso la loro sensibilità.

Vediamo lo stesso atteggiamento in prossimità del gioco del ponte di vetro, al momento della scelta delle pettorine.

La maggior parte dei giocatori si affretta a impossessarsi di quelle con un numero intermedio, laddove il 456 – ancora una volta – rimane fermo a guardare, perché non vuole sopraffare gli altri. Sono rimaste solo due pettorine, la prima e l’ultima, quando finalmente si decide a scegliere. E – dopo vari tormenti interiori – sembra deciso a scegliere la prima, se non fosse che un altro giocatore gli chiede – e quasi lo supplica – di lasciare a lui il numero 1. E il 456 si piega alla volontà dell’altro, gli lascia la pettorina 1 e prende la 16.
 
Il cambio stavolta gli è convenuto (la pettorina 1 era in effetti la peggiore di tutte) ma – di nuovo – non conta ciò che accade dopo. Rileva soltanto che prima – quando nessuno sapeva quale fosse la pettorina migliore – il 456 si è mostrato accondiscendente verso la sensibilità altrui.
 
“Mi scusi… potrebbe lasciare a me il numero 1?
È tutta la vita che mi nascondo dietro alle altre persone come un codardo,
non sono mai riuscito a essere protagonista della mia esistenza.
Continuo a ripetermi che dovrei farlo, ma ho sempre paura.
Anche oggi io me la sono fatta sotto e ho scelto il numero per ultimo.
Vorrei almeno una possibilità di essere padrone del mio destino.
Con sicurezza, davanti a tutti. Un po’ di pietà”
 
Prima del tiro alla fune, quando si devono formare le squadre e nessuno sa ancora in cosa consisterà il gioco, i più preferiscono creare una formazione forte e robusta. Nessuno vuole donne e vecchi.
 
Nessuno… o quasi. Il 456 si mostra tollerante e di ampie vedute, e alla fine – grazie a lui – si metterà assieme una squadra con tre donne e un anziano: un gran bel segno di accoglienza verso i più deboli che nessun altro vuole.
 
Giocatore 218: “Avevo detto che volevo solo uomini” 
Giocatrice 240: “L’atmosfera qui è molto cupa. Ho sbagliato squadra? Vi saluto” 
Giocatore 456: “Un momento. Resta pure, sta tranquilla”
 
Lo stesso atteggiamento lo ritroviamo nei preparativi del gioco delle biglie.

Ancora una volta, non sapendo a cosa si andrà incontro, i più preferiscono un compagno di gioco “fisicamente forte”. Non sanno che il gioco non avrà nulla di fisico, e ignorano che il compagno prescelto sarà in realtà il proprio avversario, ma venendo dal gioco della fune – sino a quel momento il più fisico di tutti – preferiscono avere accanto qualcuno di buona prestanza.
 
Il 456 indirizza lo sguardo verso il 199, il giocatore più “robusto” di tutti, e gli propone di fare coppia, quando il 218 lo interrompe bruscamente per offrirsi lui, con tanto di motivazione così ben argomentata da non lasciar spazio a repliche (“questi giochi richiedono o una grande forza o intelligenza: se noi due formiamo una squadra, possiamo battere quasi tutti gli altri”).
 
Il 456, di nuovo, non batte ciglio, e addirittura minimizza l’episodio, sebbene fosse stato lui il primo a proporsi al 199.
 
“No, no, no… non preoccuparti: va bene, sì.
Voi due farete un’ottima squadra.
Io mi cerco un’altra persona” 
 
Il 456 ha perso tempo prezioso. Quasi tutti hanno trovato un compagno. Sono rimasti soltanto il giocatore 1 (il vecchio) e pochi altri.

E proprio il vecchio (il giocatore 1) si avvicina al 456, che con grande imbarazzo declina l’invito a fare squadra ancor prima che l’ipotetica proposta sia formulata. Ma il vecchio non si era avvicinato per chiedere di giocare insieme, bensì soltanto per manifestargli il suo affetto.

“Devi metterti questo: ti guarderanno dall’alto in basso se vedranno che non indossi il tuo giacchetto”

Quel gesto affettuoso e disinteressanto non può passare senza conseguenze, per un animo buono come il 456.

L’ultimo giocatore utile rimasto spaiato (“non è rimasto nessuno migliore di me: ero un insegnante di matematica, e giocavo a pallone, sono in forma”) si offre di fare squadra con il 456, con tanto di pressione psicologica (“ho rifiutato tutti quelli che me l’hanno chiesto, per giocare con te”) e prospettive minacciose (“unisciti a me… altrimenti non troverai nessuno e resterai senza squadra”) da cui trae una conseguenza  apparentemente  logica (“formate tutte le coppie, uno resterà da solo, e verrà subito eliminato: e credo che sarà quell’anziano”) anche se poi disattesa (chi rimane solo, in realtà, è considerato il debole del gruppo, e la giostra protegge sempre i più deboli).

E lo sguardo del 456 corre proprio verso “quell’anziano”, verso il numero 1, a cui  alla fine propone di fare squadra, perché lui, il 456, non se la sente di abbandonare il più debole di tutti (che si era persino mostrato affettuoso nei suoi riguardi).
 
  
Giocatore 456: “Signore… vuole giocare con me?”
 
E arriviamo così al gioco finale, il calamaro, dove il 456 riesce ad avere la meglio sul 218, la cui condotta lungo tutto il gioco è stata opposta alla sua, sistematicamente guidata da un egoismo cieco.
 
Lo scontro finale tra il 456 e il 218 rappresenta una contrapposizione tra il bene e il male.

E il 456 avrebbe pure la possibilità di uccidere il 218, di piantargli un coltello nel cuore, ma non lo fa, ovviamente, altrimenti che “buono” sarebbe?
 
Il 456 ha la possibilità di accoltellare il 218, di sferrargli un colpo mortale,
che gli farà vincere il gioco e quindi i 45,6 miliardi di won.
Ma non lo fa: sferra sì il colpo, ma solo per sfogare la rabbia,
e il coltello finisce accanto al viso del 218, senza neppure ferirlo.
La scena era stata peraltro opportunamente preparata:
nella notte precedente allo squid game
- quando erano ancora in tre in gioco, il 218, il 456 e la 61 -
il 456 manifesta l’intenzione di accoltellare il 218 nel sonno,
ma viene subito bloccato dalla 61: “tu non sei quel genere di persona”
(e la 61 morirà poi accoltellata proprio dal 218, per rimarcarne la viltà).
  
Non solo il 456 non uccide il 218, ma arresta pure il suo cammino verso la testa del calamaro, che se conquistata avrebbe decretato la sua vittoria, e quindi la morte del 218, sebbene per mano di uno dei soldati (che ha già estratto una pistola e gliela ha puntata addosso, pronto a sparare non appena il 456 arriverà a destinazione).
 
Il 456 si ferma, torna indietro e chiede di fermare i giochi, appellandosi alla terza clausola del regolamento: lui, il 456, non vuole uccidere nessuno e non vuole avere nessuno sulla coscienza, meno che mai uno dei suoi più cari amici d’infanzia.
 
“Andiamo… torniamo a casa”
 
Questo è il giocatore 456, e noi – da spettatori – non possiamo che apprezzare la sua trasformazione: avevamo conosciuto un bamboccione – che viveva sulle spalle di una madre vecchia e malata, che tentava di risollevarsi con le scommesse ai cavalli, inseguito dai debitori e incapace di prendersi cura della figlia – e ora ritroviamo un autentico eroe, pronto a rinunciare a tutta la ricchezza materiale pur di preservare quel che di buono c’è nel suo animo.

C’è solo una macchia, in una condotta altrimenti impeccabile: il comportamento tenuto durante il gioco delle biglie.
 
Giocatore 1: “Perché non giochiamo ancora, e puntiamo tutto?”
 Giocatore 456: “Cosa?”
Giocatore 1: “Io punto tutto quello che ho, e tu punti tutto quello che hai”
Giocatore 456: “Ma che cosa intende dire?”
Giocatore 1: “Punteremo tutte le biglie che hai tu e allo stesso tempo tutte quelle che ho io.
Mi sembra una proposta giusta”
Giocatore 456: “Dovrei puntare tutto, per quell’unica biglia?
Ma che sciocchezza è questa? Non ha nessun senso!”
Giocatore 1: “Invece, secondo te, ingannarmi e prendermi tutte le biglie, avrebbe senso?”

Il numero 1 era riuscito a impossessarsi di tutte le biglie del 456, quindi, a rigore, il 456 doveva essere eliminato (andare incontro alla morte).

Ma il 456 aveva sfruttato il sopraggiungere della demenza del numero 1 – peraltro solo simulata – per cavarsi d’impaccio e rubargli (quasi) tutte le biglie.

Quando il numero 1 svela la sua simulazione, non solo il 456 sprofonda nella vergogna, ma la sua vigliaccheria è accentuata dalla decisione del numero 1 di regalargli comunque l’ultima biglia in suo possesso, così da condurlo in salvo.

Il 456 – ancora una volta – non sa nulla della reale natura del numero 1; realizza solo di aver compiuto un gesto infame, per di più appensantito proprio dalla grazia ricevuta; lui, il 456, ha di fatto ucciso il numero 1 – o almeno così crede – perché se si fosse comportato onestamente, allora avrebbe ammesso la sconfitta nel momento stesso in cui si era ritrovato senza biglie.

Questa defezione morale non fa però venir meno un giudizio globalmente favorevole sul 456; semplicemente ne mostra il lato più debole ed esposto a tentazioni, a cui è oggettivamente difficile resistere (giacché c’è in gioco la propria sopravvivenza in modo diretto ed esplicito); è quindi una macchia necessaria per preservare la tridimensionalità del personaggio, per farlo apparire “umano”, con tanti pregi, sì, ma anche con qualche rilevante difetto.
 

I motivi di una scelta

 
Il 456 è il vincitore del gioco. Viene lasciato per strada, sotto la pioggia, bendato, con un bancomat in bocca (osserva, incidentalmente, che a togliergli la benda, e il primo a parlargli, è un predicatore che gli chiede se crede in Gesù, una domanda che suona beffarda, per chi è appena ritornato da un’esperienza infernale).

Il primo gesto del 456 – una volta tornato nel mondo reale, alla vita di tutti i giorni – è prelevare 10.000 won con il bancomat che gli è stato consegnato. Il saldo residuo, di 45.599.990.000 won gli conferma che, sì, era tutto vero: lui è il vincitore del gioco, e ora dispone di un conto in banca miliardario.
 

 
E tuttavia non è felice. Lo vediamo perennemente stordito e sempre più trasandato, incurante di sé e del mondo circostante. E del suo conto di banca.
 
Banchiere: “Mi scuso per averla fatta venire fin qui. Vede, volevamo inviarle un auto, ma—”
Giocatore 456: “Perché mi voleva vedere?”
Banchiere: “Ecco… è passato del tempo da quando ha depositato il suo denaro qui da noi,
ma sinora non c’ha mai contattato, quindi…”
Giocatore 456: “Vi aspettate… che vi dica qualcosa?”
Banchiere: “No, non intendevo questo.
I suoi soldi sono in un conto corrente normale, ma con questo conto non ha quasi interessi.
La nostra banca ha istituito un servizio di consulenza mirata esclusivamente ai clienti VIP come lei. Volevo dirglielo, e presentarmi. Lei deve essere un uomo impegnato, ma…
… l’ho offesa in qualche modo?”
Giocatore 456: “Non è che potrei chiederle un favore?”
Banchiere: “Sì, chieda pure
Giocatore 456: “Mi potrebbe prestare 10.000 won?”

Il 456 non ha toccato un solo won, non gli importa di tutto quel denaro che non sta fruttando interessi, e anzi – nota il colpo di classe – chiede al banchiere di prestargli 10.000 won.

Perché? Cosa deve mai farci con 10.000 won, un uomo che ne possiede più di 40 miliardi? L’opera non lo dice apertamente, ma il sotto-testo è chiarissimo: deve depositarli sul suo conto per ripristinare la somma iniziale di 45,6 miliardi di won, perché lui – il 456 – quel denaro non lo vuole, non vuole cioè nulla – fossero anche solo 10.000 won – proveniente da quel gioco.

Spendere quel denaro – fossero pure 10.000 won – significherebbe continuare a sporcarsi le mani di sangue.

La pensa e la vive così, il 456. Fino all’incontro con il numero 1.

“Ho saputo che non hai toccato il tuo premio in denaro, e che vivi la tua vita di sempre.
È perché ti senti in colpa?
Quei soldi erano il premio per la tua fortuna e per il tuo impegno:
ti sei guadagnato il diritto di usarli”

Le parole del numero 1 rendono esplicito ciò che era già chiaro dalle scene viste sino a quel momento, e anche se il 456 non risponde direttamente, e fa virare il discorso su altro, la situazione è diventata ovvia: sì, il 456 “si sente in colpa”, e spendere quel denaro vorrebbe dire rinnovare continuamente il suo stato d’animo di “colpevole”.

Ma qual era – in definitiva – la sola colpa che il 456 poteva realmente attribuirsi? Quella di aver ingannato il numero 1, di averlo visto andare a morire – per di più spontaneamente – quando invece doveva essere lui – il 456 – a essere “eliminato” (perché rimasto senza biglie a conclusione dello svolgimento regolare del gioco).

Il 456 sente di esser stato vile, e questa sua percezione getta una luce sinistra sull’intero gioco, sporca tutto ciò che ha fatto di buono e giusto all’interno della giostra, gli impedisce una visione più serena delle cose, la formulazione di un giudizio equilibrato.

Ma ora – in un istante – tutto è cambiato: il numero 1 non solo è vivo, ma sta anche nella migliore situazione possibile in cui può trovarsi una persona nelle sue condizioni (un bel letto accogliente, di una bella stanza silenziosa, in un palazzo di lusso) ed ha ancora la voglia di giocare, di scommettere se prima della mezzanotte qualcuno si fermerà o no ad aiutare un barbone accasciato a terra, sotto la neve, che si può osservare dalla sua comoda posizione.

Il 456 realizza così di non aver ingannato nessuno, o quanto meno di aver realizzato un inganno privo di conseguenze, e comunque di esser lui la vera vittima di un inganno incommensurabilmente più grande, operato proprio dal quel numero 1 che credeva si fosse sacrificato al posto suo.

Per chiudere il cerchio, e smazzar via i residui sensi di colpa, non rimane che vincere l’ultimo gioco, l’ultima scommessa, e, sì, a pochi secondi dai rintocchi della mezzanotte, qualcuno si ferma ad aiutare il barbone e chiama un’ambulanza per soccorrerlo.

Il 456 ha vinto, o meglio, “lei ha perso”, come gli sentiamo dire al numero 1 nell’istante del passaggio dalla vita alla morte: perché qui non ci sono vincitori, ma vi è solo la sconfitta del male.

Una nuova luce – ora – rischiara tutto quel denaro, quei 45,6 miliardi di won.
 
Le cose sono cambiate, lo stato d’animo del 456 è stato ribaltato, e lo stravolgimento interiore viene comunicato con un cambio di look esteriore: dai lunghi capelli neri, barba incolta e abiti trasandati a un taglio giovanile di un rosso sbarazzino, un viso liscio e un abbigliamento elegante.
 

 
La prima azione nel nuovo mondo sarà andare all’orfanotrofio a recuperare il fratellino della giocatrice 67, per affidarlo alla madre del giocatore 218, insieme a una grossa valigia zeppa di banconote da 50.000 won.
 
Lo vederemo poi dirigersi verso l’aereo che lo porterà in America, dalla figlia, a cui potrà dare finalmente il regalo che merita… prima che il riecheggiare del suono del Ddakji – il gioco con cui si viene reclutati – risvegli tutti i suoi incubi.

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