Modulo 7B – Poker d’assi (rewriting)

POKER D’ASSI

Eccomi qui seduto alla bisca come ogni sabato notte, oggi si fa da me, la moglie del Pino non ci vuole più tra le scatole, troppe esalazioni per casa.

La stanza è satura di fumo e mi ricorda tanto la nebbia che c'era nelle notti d'inverno di tanti anni fa, quando dalla finestra non si vedeva la strada ma solo la luce sfuocata dei lampioni. Le vie di Milano nel 70' erano come questa stanza, fumosa.

La luce del piccolo lume al centro del tavolo illumina solo l'area di gioco mentre noi quattro siamo in una sorta di limbo scuro, mi è già capitato di perdere a causa del riflesso delle lenti ma non sono più un pivello; ora afferro il bicchiere e bevo ancora un goccio di cognac, ho la bocca impastata e non mi sento del tutto presente a me stesso, appoggio le carte, mi alzo e mi avvicino alla finestra, ho bisogno di riflettere.

Apro le ante, il fumo delle sigarette esce e sale in alto come liberato, il cielo è stellato l'aria è frizzante, appoggio le mani sul freddo davanzale in marmo e faccio dei respiri profondi, intanto prendo tempo.

Nella vita sono sempre stato un perdente, non so perché mi ostini a convincermi del contrario ricordando a me stesso, le poche cose buone che ho realizzato in cinquant'anni di sopravvivenza.

Anche oggi le carte non mi sono amiche, ho solo una doppia coppia di donne e nel piatto c'è tutto il mio stipendio, se perdo questa mano, mi butto dalla finestra, tanto non ciò più un cazzo da perdere.

Ho anche il brutto vizio di bere, il che non mi aiuta affatto, con le puttane ho chiuso l'anno scorso dopo l'infarto; un altro bel respiro, ora torno e mi siedo, Pistacchio che è alla mia destra lo conosco poco e non mi fido, magari è un baro e mi fotte pure a sto giro.

Gli altri due li conosco bene, il Pino e il Gino sono due falliti come me che vivono d'inerzia, senza stimoli, con loro vado d'accordo solo al bar ma quando si gioca ognuno pensa a se.

Torno al tavolo, con calma e nel fare cammino strisciando le ciabatte fino in soggiorno, tanto da quando Anna se n'è andata, per terra non c'è più la cera.

Mi siedo e faccio un sorriso tirato, di fronte a me il Pino suda, è il segno che sta bleffando, il Gino butta le carte sul tavolo e passa.

Pistacchio - vede -

Per fortuna non ha rilanciato è un buon segno.

Doppia coppia di jack. Ho vinto.

Un buon giocatore non esulta mai delle proprie vittorie. Mi alzo dalla sedia, prendo il malloppo e con celata avidità metto in tasca le banconote, poi vado in cucina, ho bisogno di un altro goccetto.

Non è bello smettere di giocare quando si sta vincendo è una di quelle regole non scritte che però tutti conoscono bene, bevo ancora un po' d'alcol poi torno e faccio un'ultima mano, perdo cento euro e mi ritiro, così si fa, è un fatto di stile.

Pistacchio prende un mazzo intonso, è proprio un vero giocatore, si vede, ma stavolta mica mi frega, faccio un ultimo giro e poi li sbatto fuori di casa, tocca a lui dare le carte, le mischia con destrezza con vari virtuosismi, sembra un prestigiatore, le carte puzzano di nuovo e prima di guardare cosa ho in mano, le annuso, mi piace il loro odore di plastica, mi ricorda l'infanzia.

Il Gino taglia il mazzo, Pistacchio serve le carte, le raccolgo ed inizio con calma il rito della spillatura, le carte si scoprono molto lentamente con una manipolazione ritmica ed oscillatoria il tutto si esegue con due mani, le mie cinque carte appaiono con calma una alla volta, asse di cuori, Rè, asso di picche, asso di quadri, asso di fiori, poker d'assi.

Gino cambia tre carte, ha in mano di sicuro solo una coppia, Il Pino ne cambia quattro, non hanno in mano un cazzo. Io cambio il Re anche se ho il poker, è un vecchio trucco che mi ha insegnato un tizio, lo stesso fa Pistacchio.

Apre Gino con cento euro ma sta sudando, al Pino trema l'occhio destro vuol dire che è nervoso e che non ha niente di buono in mano.

Rilancio il piatto di cinquecento, con un poker d'assi in mano li lascio in mutande.

Pistacchio temporeggia, chiede una pausa, si alza e va al cesso. Anch'io torno alla finestra, l'aria è irrespirabile, qualcuno ha scoreggiato.

Appoggio le mani sul davanzale, l'orologio della piazza indica le due e dieci, appoggiata ad un palo ci sta una troia, stivali bianchi, minigonna, capelli lunghi e neri, mi sa che dopo la vincita, festeggio e la faccio salire così chiudo in bellezza.

Torno al tavolo, mi siedo, Pistacchio è ancora al cesso, forse sta cagando, riguardo le mie carte e metto sul piatto tutto ciò che ho in tasca, sono tremila euro.

Pistacchio ritorna ed osserva il piatto, Gino suda e si ritira, il Pino lo segue.

Pitacchio punta tremila e sussurra un "vedo"

Abbasso le mie carte e aspetto una sua smorfia di dolore, lo osservo, rimane immobile, brutto segno.

Abbassa la prima carta,

Donna di picche

Jack di picche

Dieci di picche

Nove di picche

Ora lo stronzo si ferma e si accende una sigaretta, poi guarda il suo orologio.

Passa un po' di tempo ed abbassa l'ultima carta

Otto di picche. Scala colore.

Ho perso.
 
 

Poker d'assi

Spizzo la quinta carta. Jack, jack… Dio fa che sia un jack! Asso nero, fanculo. Ricompatto le carte, gli occhi mi pizzicano, li stropiccio e il bruciore aumenta.

Pistacchio dà un tiro a quel che resta della sigaretta, cerchietti di fumo invadono l’aria e si dissolvono. Spegne la cicca nel posacenere stracolmo.

«Allora, Cesare?»

Getto le carte coperte, scuoto la testa; gli indico il piatto.

Afferra la montagnola di banconote e la porta a sé; Marione si pulisce gli occhiali a fondo di bottiglia sulla camicia, tira su col naso, una, due, tre volte; Fabietto si aggiusta quei quattro peli che ha in testa, raccoglie le carte sul tavolo e le mescola. Perché continuo a ospitare questi falliti a casa mia? Perché?

Ho la bocca impastata, mi gira la testa. Riempio il bicchiere di cognac e mando giù. L’aria si è fatta irrespirabile.

Vado ad aprire la finestra della sala, una folata di vento freddo mi sferza il viso, la massa di fumo scappa via e sale in cielo come un fantasma. Respiro a pieni polmoni, il marmo del davanzale mi ghiaccia le mani. Stelle e luna piena, niente male come sfondo per un suicidio.

Mi volto: Fabietto è ancora lì che giocherella con il mazzo, Pistacchio sorride e con un gesto della mano mi invita a tornare al posto. Accosto l’anta e mi trascino sino al tavolo. Quanto s’incazzava Anna, quando lo facevo dopo che aveva passato la cera!

«Altro giro?» Fabietto lancia un’occhiata a Pistacchio, per avere l’autorizzazione a distribuire le carte.

«Buttalo quel mazzo!» Pistacchio ne tira fuori uno intonso dal borsello. «Magari con questo vi dice meglio.» Ride e lo spacchetta: mischia le carte come un prestigiatore, il fruscio mi affetta
l’anima.

Poggia il mazzo sul tavolo, per l’alzata. Marione ci batte un pugno sopra e Pistacchio distribuisce le carte. Sovrappongo le mie cinque e le porto sotto il naso. Che buono l’odore della plastica nuova, mi ricorda l’infanzia…

Mettiamo ognuno i dieci euro del cip nel piatto. Dai, si ricomincia.

L’asso di cuori mi si para davanti. Spizzo la seconda carta, asso di picche. Ottimo! Male che vada, provo il tris. Spizzo la terza, deglutisco: asso di fiori. E vai! Se pure resto così, me la gioco alla grande.

Marione sta sudando, le mani gli tremano: ha intenzione di bleffare, ne sono sicuro. Fabietto si morde le labbra, probabilmente non ha un cazzo.

Sposto l’asso di fiori con un colpo secco: un jack rosso mi fa la linguaccia. Fanculo, dovevi arrivare al giro di prima, non ora.

Pistacchio si accende un’altra sigaretta, tira una boccata e l’appoggia sul posacenere. Un filo di fumo sale nella penombra. Mi copro gli occhi con le carte: a ’sto giro ti bastono, stronzo.

Spizzo l’ultima carta, un principio di rettangolino rosso fa capolino in basso, il cuore accelera. Non ci credo, non è possibile! Il pollice scivola sul jack che scompare dietro le altre carte. L’asso di quadri si materializza, fiumi di sudore iniziano a scorrermi sulla schiena. Calma! Non devo ridere, cazzo, non devo ridere!
 
Alzo la testa verso la chiazza d’umidità sul soffitto. Non ho un cazzo da ridere, non ho un cazzo da ridere: sono un ubriacone, Anna mi ha lasciato, ormai scopo solo con mignotte stagionate e non ho amici a parte questi due falliti. Cazzo! Speriamo che la risatina isterica mi sia morta sul nascere.

«Passo,» sussurra Fabietto.

Abbasso lo sguardo. «Cento.» Metto la banconota nel piatto, senza alzare la testa.

«No.» Marione abbandona le carte sul tavolo, Fabietto lo segue.

Dalla strada arriva il suono di una sirena, raggiunge il picco si attenua e scompare. Pistacchio mi fissa con occhi sbarrati, annuendo.

«E sia.» Mette cento euro nel piatto e impugna il mazzo. «Quante carte?»

Coglione che sono! Dovevo aspettare, prima di sbilanciarmi! Coglione, coglione! Faccio una smorfia plateale per simulare
l’indecisione. Sfilo il jack e l’allungo sul tavolo, sino al piatto.

«U-una.»

Pistacchio mi consegna una nuova carta. «Anch’io ne cambio una sola.»

I quattro assi mi sorridono. Non c’ho un cazzo da ridere! Domenica abbiamo pure preso tre pere nel derby. Spizzo la quinta carta, nove di cuori. Corrugo apposta la fronte e acciglio lo sguardo. Magari lo disoriento.

Pistacchio riprende la sigaretta e dà una boccata. «Allora?»

«Altri cento.»

Libera una nuvola di fumo e riappoggia la sigaretta sul posacenere. «I tuoi cento…» Stringe una banconota da cinquecento tra indice e pollice, la lascia volteggiare dall’alto dentro il piatto. «… più altri quattrocento.»

Mi scappa una scorreggia, Fabietto e Marione soffocano a stento una risata. Slaccio la cinta e lascio andare l’ultimo bottone dei pantaloni.

«Fai conto che li abbia messi.»

Pistacchio alza il sopracciglio e ciondola con la testa. Non si fida, lo stronzo! Ora lo mando steso.

Lancio le carte sul tavolo. «Poker d’assi!»

Si gratta il pizzetto e digrigna i denti, sospira.

Abbassa la prima carta, donna di picche. La seconda, jack di picche. La terza, dieci di picche. No, non ci credo. La quarta, nove di picche. No, non è possibile, non dirmi che…

Si passa l’ultima carta sul viso come fosse un rasoio, su una guancia e sull'altra, sotto il naso e sul collo. La blocca sotto il mento, sorride e sgrana gli occhi. La mette giù: otto di picche.
 
Uno schizzo di piscio mi bagna le mutande.
 

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